Pagine

Print Friendly and PDF

mercoledì 4 dicembre 2019

A bordo con Enrico Simonetti




             IL GRANDE “CHANSONNIER” INNAMORATO DEL MARE




Cocktail con il vicecomandante

Enrico Simonetti





Alto, signorile, colto, ironico,
sincero, simpatico, impegnato
a rivalutare il pianoforte,    era figlio di un          giornalista-scrittore.

Ottimo direttore d’orchestra 
e compositore.













Franco Presicci

Quando penso ai miei viaggi su quelle eleganti case galleggianti dette le regine del mare, la “Michelangelo” e la “Raffaello”, dall’archivio della mia memoria emerge la figura di Enrico Simonetti, un grande personaggio dello spettacolo. Alto, gentile, simpatico, colto, ironico, sui cinquanta, una sera, durante la navigazione verso Casablanca, si esibì sul palcoscenico di bordo, dove cantò, danzò, suonò il pianoforte, raccontò aneddoti, tenendo la scena per quasi due ore, incantando il pubblico, numeroso e scatenato. 

La Mamounia di Marrakech
Arrivo a Casablanca
Giunti allo scalo della città marocchina in cui nel ’42 venne girato il famoso film con Humphrey Bogart e Ingrid Bergman, “Casablanca”, appunto, in treno andammo a Marrackech (città marocchina nella quale Elias Canetti, “vagando per i suk, i mercati e le piazze, fra cammelli, mendicanti, cantastorie, captando suoni e voci di una città sconosciuta, trova il fondamento e il respiro di un mondo lontano, pieno di vita e di colore…”, raccogliendo le emozioni in un bellissimo libro), avemmo modo di scambiarci opinioni, mentre il convoglio attraversava contrade percorse da uomini e dromedari. Poi nella grande piazza affollata, soffermandoci davanti a figuranti che calamitavano l’attenzione, fra cui l’incantatore che accosciato suonava un flauto facendo spuntare un serpente da una cesta e il venditore d’acqua bardato di bicchieri metallici e di una specie di orcio, gli chiesi un’intervista. “Domani mattina alle 10, se per te va bene”, rispose.
Il giorno dopo, fatto un bagno in piscina, ci trovammo sotto il primo fumaiolo”. Qualche commento sulla gita nella città più rilevante delle quattro imperiali, fra gli odori e i colori del suk, ricco di spezie, una pausa brevissima. 

Franco Presicci intervista Enrico Simonetti sulla Michelangelo
Quindi: “Ricordo il mio maestro di musica, che mi diceva sempre: ‘Ricordati che il contadino che la domenica va in piazza ad ascoltare la banda deve capire ciò che si suona; altrimenti a che serve allestire una cassa armonica? Sarebbe soltanto folclore’”. Simonetti non l’aveva mai dimenticato, quel maestro, tanto che nonostante il successo sul piccolo schermo, alla radio e alla tivù, contava di ritirarsi ad Alassio, dov’era nato, per aprire una scuola per giovani desiderosi di imparare a conoscere la musica in maniera corretta. Il Comune aveva messo a disposizione gli strumenti necessari. “Ho detto informazione, non formazione musicale”, precisò. “Oggi il giovane prende in mano una chitarra e la strimpella, ma la musica non la ‘sente’ come si deve. Né è aiutato da nulla, in Italia. Tu pensa alla televisione. Quante trasmissioni dedica alla musica seria? Qualche ora alla settimana? Credi che basti? Senza considerare poi che quelle poche trasmissioni sono propinate in modo asettico, non coinvolgono lo spettatore, come si fa altrove, per esempio attraverso immagini, documenti, scritti relativi ai brani eseguiti. Non si contribuisce insomma a un’educazione musicale. Ciò che del resto non si fa nemmeno nelle aule scolastiche. Il risultato? Che il nostro Paese è al livello del Pakistan e del Ghana, stando alle statistiche dell’Onu. Parlava guardando il mare. Come se inseguisse i ricordi che lo legavano alla sua Alassio, la città del Muretto, dei giardini di Villa della Pergola…. Era affascinato, dal mare; beveva l’aria pura e sorrideva. Era la fine di settembre del 1974 e l’attore, pianista, umorista, conduttore televisivo, compositore, direttore d’orchestra, di buone letture (Calvino, Ginzburg, Cassola, Giorgio Saviane, Pavese, pubblicazioni scientifiche…), ogni tanto fra le sue riflessioni qualcuna delle sue battute di spirito gustose e divertenti. Gli domandai: “Che cosa pensi di musicisti come Gaslini, che vanno a suonare nelle fabbriche?”. “Li stimo molto. Con loro la musica arriva direttamente al cuore della gente. E’ un’opera che va senz’altro apprezzata, perchè non è certo colpa dell’operaio se non capisce Beethoven o Mozart. Attento che io faccio un discorso prettamente musicale, non ideologico. In altri Paesi i i giovani imparano fin da piccoli ad ascoltare la musica; sanno a che serve un certo strumento, la sua storia, com’è nato il suono. E’ assurdo che questo non si faccia da noi”. 

Partenza da Genova
Una prova di coraggio
Enrico Simonetti parlava piano, con qualche cadenza romanesca, con quell’affabilità che tutti gli riconoscevano da quando aveva cominciato a comparire sulla scatola magica, dopo una lunga brillante attività televisiva in Brasile con un “Simonetti show” durato ben 146 puntate. Era un piacere ascoltarlo. Non era mai banale, schivava i luoghi comuni, non si lasciava impaniare dalle apparenze. Improvvisamente comparve un signore con un paio di baffi svirgolati verso l’alto, che dopo aver scodellato giudizi sulla città africana da noi appena visitata, chiese il parere dell’artista. 

E lui, pacato, sporgendosi per osservare la prua che tagliava le onde: “Non abbiamo visto niente di più che qualche stucco merlettato sul soffitto di un palazzo importante e quel mondo di cartapesta tenuto forse in piedi per gli stranieri dall’ente per il turismo: dietro il venditore d’acqua, l’incantatore di serpenti e gli ambulanti che ti si attaccano addosso come zecche c’è sicuramente qualcosa di meglio, molto meglio”. L’interlocutore rimase per un momento come la moglie di Lot tramutata in statua di sale e poi sparì, mentre lo “chansonnier” mi sussurrava che non capiva “le persone superficiali, quelle che straripano, quelle che allungano la stoffa che hanno…”. E aggiunse: “Mi viene la tentazione di istituire un club dei matti, degli stralunati. Ne troverei tanti, dappertutto, in ogni settore”. Non frequentava gli ambienti degli artisti, non gli piaceva oziare al caffè o conversare, sorbendo una bibita, di tasti o dei versi di Cesare Pavese (“Ha scritto musica con le parole”). Lo osservavo con ammirazione: era come in televisione: senza storture divistiche, il gesto discreto, il sorriso cordiale. “Le mie virtù? E’ difficile parlare delle virtù, uno se le dovrebbe inventare. Diciamo caratteristiche, caso mai”. Una virtù tuttavia riuscì a trovarla: “Non esco mai dal mio orticello. Sono un maestro-presentatore e non voglio fare altro, se non è indispensabile. Proprio in quei giorni gli era stato proposto d’interpretare un film con Edwige Fenech, ma il progetto non lo entusiasmava.
Adriano Bet
Avrebbe letto il copione ma probabilmente lo avrebbe rimandato al mittente con tante grazie. “Se ho accettato di fare televisione l’ho fatto solo per rivalutare il pianoforte, per valorizzare la musica. Credo di esserci riuscito”. Doveva la sua amicizia con il pianoforte a sua nonna: un’americana che, venuta in Italia per studiare canto, s’innamorò di un italiano e se lo sposò. All’età di sette o otto anni, Simonetti accompagnava al piano l’amata signora che cantava le romanze con il marito. L’arte dunque era l’insegna della sua casa. Il padre era pittore, scrittore, giornalista, con un notevole gusto per la musica e antifascista: condannato a morte, si salvò in extremis dal plotone di esecuzione. Sapendo che lavoravo al “Giorno”, espresse la sua ammirazione per Giancarlo Fusco, di La Spezia, penna nobile e prolifica. “Nella sua vita ha fatto di tutto, anche l’attore. Un grande giornalista e scrittore. Tra i suoi libri, ‘Le rose del ventennio’, ‘Duri a Marsiglia’, ‘Gli indesiderabili’ … Scrisse anche un testo teatrale con Enzo Biagi”. Il padre del commissario Montalbano, Andrea Camilleri, suo amico, lo indicò come “genio dell’affabulazione, della battuta”. Simonetti aveva navigato molto, quell’anno, esibendosi nel teatro di bordo. “Sì, ho navigato molto, ma adesso scendo a terra e riprendo alla radio le due trasmissioni che conosci: ‘E ora l’orchestra’ e ‘Le piace il classico’, al sesto anno, 140 puntate e un indice di ascolto molto elevato. Il mare fino all’anno venturo sarà solo una speranza”. Quella notte gli venne consegnato un premio, in occasione del concorso “La dama dello zodiaco”. Il premio consisteva in una splendida scultura in oro di Sforza di Genova, raffigurante l’elemento fuoco. La motivazione della giurìa, della quale facevo parte anch’io: “Il calore delle esecuzioni del maestro Enrico Simonetti, la profonda sensibilità da lui dimostrata come pianista, l’impegno assoluto nel rivalutare il pianoforte”. “Dama dello zodiaco” fu eletta una deliziosa, giovane signora bulgara, Margaret Boeri, residente da undici anni a Milano, dove dirigeva una clinica ereditata dal marito. La dama aveva fatto la giornalista nel suo Paese ed era studiosa di astrologia, materia che a tempo perso coltivava anche Enrico Simonetti. A consegnare i riconoscimenti, Adriano Bet, capo ufficio stampa della Società Italia di navigazione, armatrice delle due gemelle del mare, “Michelangelo” e “Raffaello”.  Enrico Simonetti è deceduto nel ’78 a Roma, ma molti lo ricordano ancora. Con stima.







Nessun commento:

Posta un commento