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mercoledì 15 gennaio 2020

Un angolo suggestivo di Milano


VICOLO DEI LAVANDAI

UNA CHIESA DI PITTORI 


Qualcuno lo ha definito una piccola
La tettoia dei lavandai sul rizzolino
Montemartre. Decine di artisti vi
avevano lo studio. Tra i più famosi
Guido Bertuzzi e Aldo Cortina, amico
di Bettino Craxi. La tettoia, sbilenca,
sul “ricciolino” d’acqua è monumento
storico.




Franco Presicci

Nello studio di Guido Bertuzzi, che dipingeva i pretini con la veste rossa e la cotta bianca con orli ricamati; i negozi dell’alzaia del Naviglio Grande; i tetti con i comignoli; i cortili delle case di ringhiera; i balconi inghirlandati di fiori…, oltre agli amici (il panettiere, il fabbro, il venditore di pezzi per le radio e i grammofoni di una volta…) si potevano incontrare persone note. Non soltanto dunque appassionati delle sue opere. Un giorno, in visita all’amico pittore, notai un signore che se ne stava seduto in silenzio tra una vecchia cassapanca e un tavolo pieno di disegni, le gambe accavallate e le braccia conserte: osserva le immagini della riva tra la darsena e il “pont de preja”, che si andavano delineando sulla tela. 

Uno degli ultimi barconi sul Naviglio Grande
Sulle prime, distratto da un’opera, un banco di venditore di frutta, ricca di colori vivaci, appoggiata sulla mensola del camino, mi sembrò uno qualunque; invece era Bearzot, il “Vecio”, come lo definì il romanziere Giovanni Arpino. Il grande allenatore di giocolieri della pedata si alzò, mi strinse la mano e tornò a sedersi prima ancora che il padrone di casa facesse le presentazioni. Qualche settimana dopo ci trovai Giovanni Lodetti, già centrocampista asso europeo con la nazionale, vincitore di coppe-campione, di coppe delle coppe e quant’altro. Sapendo che stavo organizzando una serata in onore di un libro sulla storia della squadra di calcio di Bari, alla galleria d’arte di Mimmo Dabbrescia, in via Carlo Torre, Bertuzzi ne approfittò per invitarlo, e il “goleador” accettò. Mantenne la promessa e lo feci accomodare al tavolo dei relatori. Figlio di un valente cantante dell’Eiar (l’antenata della Rai), Bertuzzi aveva giocato nel Milan-ragazzi e qualche volta fra gli adulti della stessa formazione, ed era così rimasto in contatto con parecchi ex compagni di sgambate. Ma non ne parlava. Quando venni a saperlo da amici comuni, lo incalzai sull’agomento. “E’ acqua passata, ero giovanissimo, non vale la pena rispolverare quei giorni”.
Bertuzzi intervistato da Tele Monte Penice
All’epoca io esploravo Milano per Tele Montepenice, antenna molto seguita fondata nel ’77 da Franco Rizzi. A reclutarmi era stato Guido Nicosia, ottimo giornalista che, da inviato del “Giorno”, passò ad “Avvenire” come inviato speciale internazionale. A Guido Bertuzzi volevo molto bene, e quando decise di pubblicare una cartella di acqueforti con poesie di Armando Brocchieri e mi chiese la prefazione, esortandomi anche a parlare al “vernissage” nella galleria del pittore Giacomo Cottino, che era all’inizio di vicolo dei Lavandai, vicino alla bottega di Guido, di fronte alla famosa tettoia, sotto la quale scorre il “rizzolino”, un rivolo d’acqua che sfugge al Naviglio Grande, mi schermii. “Questo non puoi chiedermelo: qualcuno potrebbe non vedere di buon occhio l’idea di far illustrare la cartella su Milano a un ‘terrone’”. “Scherzi, Milano non ha questo vizio”. E accettai. Poi, gli dedicai un servizio in televisione. Erano gli anni ’60. Bertuzzi non c’è più, nel vicolosi vede gente nuova, molti “atelier” di quel tempo hanno sbarrato le porte, e se qualcuno è aperto è grazie a figli o altri parenti, che ricordano Guido con stima. Era un uomo buono, generoso, affabile, ottimo conoscitore della terra del Porta, di cui commentava, a richiesta, i luoghi che erano spariti, quelli da vedere, gli avvenimenti, le ricorrenze, i segreti.
Gigi Pedroli
E ai giornalisti che andavano a trovarlo per la prima volta non mancava di indicare i suoi colleghi che lavoravano da quelle parti (Bernardoni, Fornoni, Pacini, Formenti, Marutti, Vitali, Brignoli, Spampinato (che, se non ricordo male, veniva da Genova per dipingere qui); Sarik (Riccardo Saladin, genovese trapiantato a Milano), che si trasferirà alla Fornace Curti, dove allestiva manifestazioni con presentazioni di libri accompagnate dalle chitarrate di un grande acquafortista e cantautore, Gigi Pedroli, con studio in un salone della stessa Fornace e un altro, da sempre, in fondo all’alzaia con l’insegna di Torchio dell’Incisione. A una di queste manifestazioni partecipò anche l’eccellente fotografo Mario De Biasi, tra l’altro autore di numerose pubblicazioni.

Il direttore del Giorno Lino Rizzi


Guido non si mosse mai dai suoi due localini con il camino, pieni di oggetti con le superfici dipinte da lui: padelle, spianatoie, tegole, mattoni, addirittura ferri da stiro… E poi le tele, grandi, piccole. Il Carletto, uno degli abitanti del vicolo, simpatico e un po’ brontolone perché, secondo lui, il “rizzolino” non era sempre limpido, diceva che Bertuzzi era un mito. Eppure nello stesso vicolo, fra gli altri, aveva lo studio un altro personaggio notevole: Aldo Cortina, che era stato allievo di De Pisis, aveva una grande libreria universitaria di fronte alla Statale ed era presidente del comitato della mostra “en plein air” di via Bagutta.
Aldo Cortina
Aldo era amico anche di Bettino Craxi, amante della pittura e a quanto si diceva usava egli stesso pennelli e colori. Ogni tanto, soprattutto la domenica, il presidente andava a fargli visita, anche per vedere le mostre ospitate nello studio, frequentatissimo da gente comune, tra le quali un tassista (non ne ricordo il nome) che con la fisarmonica interpretava divertenti canzoni meneghine. Aldo Cortina era nato a Belluno, e a Milano aveva due fratelli, di cui uno, Renzo, aveva una fornitissima libreria-galleria in piazza Cavour, di fronte al Palazzo dell’Informazione, dove aveva la sede “Il Giorno”. Renzo scrisse anche un libro, “Horca miseria”, il cui titolo era suggerito da “Horcinus Horca, di Stefano D’Arrigo, del ’75, che vinse anche il premio della Fondazione Cino Del Duca. In quelle pagine, sfilavano tante personalità dell’arte, del giornalismo, dell’industria…, con episodi, anche spassosi, di cui erano stati protagonisti. Insomma un libro informatissimo. Renzo aveva ottimi rapporti con il giornalista, scrittore e pittore Dino Buzzati, di cui teneva esposto in vetrina un’opera di notevoli dimensioni, raffigurante un grosso cane accucciato. Da lui fecero mostre, fra gli altri, Filippo Alto e Attilio Alfieri, entrambi scomparsi. 

Intervista televisiva
Poi Renzo morì, la galleria d’arte passò al figlio, che si trasferì nel cortile della vicina via Turati, al numero 3, dove ricordo una personale di Alfieri curata dal figlio (io scrissi un pezzo sul “Giorno”, diretto da Lino Rizzi, che aveva sostituito Gaetano Afeltra; e Raffaele De Grada, Raffaelino per gli amici, una critica sul “Corriere della Sera”). Un terzo Cortina (pare si chiamasse Mario) aveva anche lui una libreria, in via Francesco Sforza. Tornando a Guido Bertuzzi, da aggiungere che per me era un serbatoio di notizie. Per “Il Milanese”, settimanale fondato da Arnoldo Mondadori, chiuso e riaperto da altri, un pomeriggio – sarà stato giugno, l’anno il ’76 – mentre gli chiedevo d’intervenire a una serata al Cida (Centro informazioni d’arte), in via Brera, mi raccontò di Dosolina, la ragazza uccisa dai tedeschi mentre in bicicletta portava in salvo in Svizzera un bambino ebreo. 
Cortile dell'alzaia
E mentre raccontava udimmo l’urlo di un bambino, uscimmo e scorgemmo un abitante del vicolo impegnato a recuperare una palla caduta nel rizzolino. “Si ripete inutilmente che non bisogna tirare calci alla palla nel vicolo, ma…”. Colsi l’occasione per chiedergli dei giochi più in uso ai tuoi temp. “La campana, frequente fra le ragazzine; le cinque pietre; la botte, un po’ pericoloso, perchè uno faceva rotolare il recipiente mentre un altro si accingeva a cavalcarla. Un altro gioco consisteva nello spingere con una mazza un cerchio di legno; il cavallo: si prendeva la rincorsa e si saltava sul dorso di un compagno piegato, come fosse la groppa d’un quadrupede. In piazza Vetra i più grandicelli giocavano ai dadi… E poi la lippa: con un bastone si colpiva un pezzetto di legno appuntito ai due lati e lo si riprendeva al volo, sempre con il bastone, lanciandolo il più lontano possibile.

Guido Lopez e Giovanni Lodetti

Mi hanno riferito che tantissimi anni fa dei discoli sulla spalliera del naviglio spargevano un liquido corrosivo, che tagliavo i panni stessi ad asciugare. Naturalmente, in questo caso, non si può parlare di gioco, ma di una mascalzonata”. E voi - mi domandò - come giocavate?”. Alla livoria: lanciavano due sfere d’acciaio l’una contro l’altra non con le mani ma con palette di legno, fatte da noi stessi, verso due chiodi conficcati nel terreno, una decina di centimetri distanti fra loro. Le sfere provenivano dai cuscinetti delle ruote dei camion americani. Confezionavamo una palla con stracci legati con la corda: il campo, la strada; le porte quattro pietre. Diffusi anche la lippa, che in dialetto di chiama “’u spezzìedde”; e “‘u turnìedde”, che consisteva nel lancio di monete o bottoni verso un cerchio tracciato per terra con il gesso: vinceva chi riusciva a centrare l’obiettivo da una distanza di una decina di metri e oltre). Era da poco finita la guerra, i soldi erano pochi e ci arrangiavamo, non potendo pretendere dai genitori giocattoli, come ad esempio lo yo-yo, che risalendo alla Grecia antica era stato rilanciato negli anni Venti. I più fortunati potevano aspirare a un Pinocchio o a un cavallino di legno o addirittura alla bicicletta. Allora i doni li portava la Befana e non Babbo Natale. E la Befana aveva non solo le calze, ma anche il sacco rotto”. Guido era molto interessato e ascoltava con attenzione. Non l’ho dimenticato. Come non ho dimenticato Cortina. Oggi, andando a trovare Gigi Pedroli o Romualdo Caldarini, succeduto a Cortina nella presidenza del Bagutta, “Arte a cielo aperto”, passavo dal vicolo dei Lavandai e mi fermavo davanti ai loro studi. Poi se ne sono andati anche altri artisti che lavoravano in quel budello che Armando Brocchieri definì “chiesa di pittori”.




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