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mercoledì 1 gennaio 2020

La ricerca del padre nel ricordo degli amici


DIEGO E GIORGIO ALTO, I FIGLI DELL’ARTISTA

RACCOLGONO NOTIZIE PER UN DOCUMENTARIO

Rossicone intervistato da Diego Alto






Filippo ebbe molti amici ed estimatori, la maggior parte dei quali non ci sono più. Del pittore hanno parlato un giornalista e l’ottimo ceramista Peppino Rossicone. Il pensiero di Arnaldo Giuliani accanto a una litografia e scritti dei critici Sebastiano Grasso e Raffaele De Grada in altre, oltre che sul “Corsera”.





Franco Presicci
Il padre, Filippo Alto, data di nascita 1933, Bari, è morto nel ’92 all’ospedale di Notwill, vicino al lago di Sempach, in Svizzera, dopo un incidente stradale avvenuto un paio di giorni prima di Natale, nei pressi di Ancona. Loro, Giorgio e Diego, erano ragazzini. Sapevano che Filippo era un pittore apprezzato, che insegnava disegno, ma ignoravano il mondo che frequentava fuori casa, gli amici, gli estimatori, i semplici conoscenti.

De Grada, il pittore Aramu, il critico Manzella, Alto
Erano abituati a vedere a cena i critici d’arte Raffaele De Grada e Sebastiano Grasso; i questori Vito Plantone e Enzo Caracciolo; i giornalisti Giacomo De Antonellis, della Rai, e Costantino Muscau, allora inviato speciale del “Corriere della Sera”…, ma non sempre erano presenti alle conversazioni, perché Ada, la mamma, li mandava a letto presto senza eccezioni. Filippo non amava parlare di sé, del suo lavoro, soprattutto mentre in tavola fumava un bel piatto di pasta con i ceci con un pizzico di peperoncino, di cui non solo noi pugliesi siamo appassionati. “Papà con noi era severo, ma fuori com’era?”. Mi hanno chiesto il giorno che tutti e due sono venuti da me a sollecitarmi il racconto delle ore trascorse con Filippo per un documentario su di lui che stanno preparando.

Il prefetto Colucci, il questore Caracciolo, l'inviato Muscau


“Però che bei frutti ha dato quella severità. Guardate, sono i ‘no’ che aiutano i virgulti a crescere; i ‘sì’ spesso servono a sbarazzarsi dei fastidi”.Giorgio era seduto davanti a me, nel mio studio, e Diego dietro gli armamentari (fari, obiettivi e macchine da presa), più alto del fratello e del padre, che qualcuno definì il vichingo dell’arte. Giorgio mi lasciava spazio, senza mai interrompere lo scroscio dei miei ricordi. Si è deciso ad intervenire quando la commozione mi ha bloccato le parole. “Tu volevi molto bene a nostro padre, e lui a te; e ci scusiamo se ti abbiamo causato un’emozione così forte. Non lo avevamo previsto”. Ne avevo di cose da dire. Cominciando da quello che scrisse Arnaldo Giuliani, uno dei pilastri de “Il Corriere della Sera”, di cui fu anche capocronista, nella presentazione di una litografia che Filippo aveva eseguito per distribuirla agli invitati nella serata di consegna del Premio “Le Porte di Milano” al professor Silvio Garattini: “Non è vero che i tempi hanno cancellato tutte le distanze.

Rossicone, Kodra, Alto
 
Se lo hanno fatto nello spazio, non hanno potuto farlo nel tempo. Ci sono negli uomini come nelle stelle lontananze immense che nessuna immaginazione può colmare e ‘chiudere’. E che pur colmano e ‘chiudono’ soltanto perché l’ottica dei tempi mutati ha lasciato intatti, anzi ha migliorato segreti telescopi. Così, nel cielo d’asfalto di Milano, l’Alabama può anche apparire un buco nero mentre, in un riflesso di improvvisi bagliori la Puglia può illuminarsi come una costellazione che è lì, a portata di mano, da toccare, da sentire, da vivere, da scoprire o riscoprire e da amare, quasi come una impensabile orsa maggiore apparentemente dimenticata e presente. Me lo ha insegnato Filippo Alto, un illirico dei nostri giorni, un ‘malato’ della sua terra dove ha radici che si perdono sotto il muschio delle querce, un artista che fa musica con i colori e che racconta antiche storie e sapienti favole con la sua pittura. 
 
Alto, la figlia di Chechele e Nennella, Giacovazzo, Chechele, Presicci
Ho avuto l’avventura e il piacere di conoscere Filippo Alto una sera nella calda casa dell’amico comune Franco Presicci, anch’egli venuto di Puglia e diventato cursore delle dure cronache milanesi. Filippo, che era in compagna della moglie, l’Ada bella e solare, mi diede sulle prime l’impressione di un uomo del tutto quieto, con una certa avaria di parole, ricco invece di silenzi e di attenzioni. Insomma, un garbato attore di quegli estemporanei ‘recital’ che l’occasione mette in scena con la regia improvvisata dei primi incontri”. Arnaldo non terminava qui il suo ritratto. “E invece. Invece la tavola di casa Presicci aveva il ‘comme il faut’ della gastronomia pugliese ed è bastato questo minimo, quasi banale aggancio per accendere la conversazione anche da parte di Filippo. E sono state trombe e tamburi…”. Pochi come Filippo sapevano alimentare la compagnia. E quando il caso gliene dava l’occasione, con misura, senza arroganza e con sapienza “raccontava la fiaba vera e i simboli della sua terra, i riti, gli uomini e le donne, l’olivo e il fico, il romanico e il trullo, la siccità, le vigne, il sole e i colori…”. Arnaldo è stato un suo grande ammiratore. E se fosse ancora tra noi, illustrerebbe molto bene il padre a questi due rampolli, che vogliono conoscerlo oltre i confini dei loro rapporti personali con lui. 

Serata a casa Alto, la moglie Ada, l'amica Leda Caracciolo
Ed è per questo che Diego giorni fa ha acceso i suoi fari nella bottega del grande ceramista Giuseppe Rossicone, in via Chiossetto 10, a Milano, una via silenziosa, tranquilla, riposante, che svirgola verso il Palazzo di Giustizia, nel pieno centro di Milano; a due passi dal bar Taveggia, un locale ricco di storia e di cristalli. Diego ha esplorato i vari locali, tutti piccolissimi, pieni di piatti, sculture, lampade, due grosse sfere decorate una da Ernesto Treccani, l’altra da Ibrahim Kodra, quindi ha piazzato i cavalletti e ha acceso l’obiettivo su Rossicone. “Fu Franco Presicci a farmi conoscere tuo padre, dopo avermene parlato a lungo. Ma io avevo già visto alcune sue opere, che mi erano piaciute. Quando Filippo mi espresse il desiderio di fare dei piatti con me, accettai subito. Capii che era una persona riservata, attenta, rispettosa; un pignolo, un precisino, che curava i minimi particolari: non gli sfuggiva. Era di poche parole, colto, informato. Se non ricordo male, insegnava in una scuola. Me lo disse rispondendo a una mia domanda. Ho un ottimo ricordo di lui. E so che conosceva tanta gente, in vari ambienti”. 

Giuseppe Rossicone

Poi Diego è tornato a visitare ogni angolo della bottega, ha aperto i due forni già tiepidi, ha ripreso le opere che contenevano; ha letto un paio di articoli, tra cui uno del critico Carlo Franza: “Solo un artista, un creativo, e un imprenditore d’arte come Giuseppe Rossicone poteva dare vita a un laboratorio, o meglio ad un’officina della ceramica, a Milano, in via Chiossetto, fin dagli anni storici del dopoguerra, ovvero negli anni in cui Milano era tutta un fermento, quella della grande Brera, come la significò Franco Russoli, che per tutti gli artisti d’Italia e del mondo diventava un mito da vivere intensamente. Da quegli anni Rossicone ha dato vita a un centro singolarissimo, e che con quello dei Manzotti ad Albisola si pome come uno dei punti-chiave della ceramica artistica contemporanea…”. Curioso, avido di conoscenza, Diego Alto, che tra l’altro maneggia i suoi attrezzi da fotografo di livello e immortala i suoi soggetti con notevole senso estetico, ha voluto ”ispezionare” anche il ceramista, nato a Scanno, L’Aquila, nel ’33 come Filippo, vinse da giovane il premio Gualdo Tadino, venne a Milano e fece la sua prima mostra bel ’61 alla Villa Reale di Monza. 

Diego Alto fa il video a Rossicone
Era già calato il buio quando siamo usciti da quella bottega storica che ha avuto a che fare con il Ghota dell’arte non solo italiana, da Giuseppe Migneco ad Arnaldo Pomodoro, da Purificato a Gentilini, Chia, Guy Harloff, Pozzi, Cassinari, Cantatore... Adesso si appresta a continuare il cammino alla ricerca di altre personalità in grado di parlargli del padre; come il giornalista Costantino Muscau, che faceva parte della comitiva che si riuniva in via Arganin, da noi, o in via Calamatta, dove Alto allora abitava; come Curzia Ferrari e Sebastiano Grasso, critico d’arte del “Corsera”, presente con sue poesie in una cartella di litografie del pittore barese. Tante personalità frequentate dal vichingo sono scomparse ormai da tempo. 
Giuseppe Rossicone



Non ci sono più Carlo Bo, Giuseppe Giacovazzo, Arnaldo Giuliani, Antonio Velluto, giornalista dirigente della Rai di corso Sempione, che qualcuno chiamava “il principe” per i modi garbati e i gesti eleganti; Franco Marasca, titolare e direttore de “Il Rosone”, sorto a Milano e trasmigrato a Foggia; Mario Dilio, saggista; Raffaele De Grada, critico e docente a Brera; Vittore Fiore, giornalista e poeta, figlio del grande Tommaso, docente all’Università di Bari e meridionalista (“Un popolo di formiche”, vincitore nel ’52 del Premio Viareggio; “I formiconi di Puglia”…); Giuseppe Giacovazzo, che in “Paese Vivrai” scrisse di Filippo: ”Ti racconto – dopo quasi una vita – perché una lontana domenica ti trascinai dalla città a vedere come era fatto il mio paese. Tu ora lo dipingi. Io lo riscopro nella tua pittura…”. E non c’è più neppure Peppino Strippoli, l’apulo-milanese che portò i sapori della Puglia a Milano e aprì il supermercato del vino a Saronno, oltre a parecchi ristoranti (uno di questi, “ndèrr’a la lanze”)… Ma andando a Figazzano (in provincia di Brindisi), dove la famiglia ha un palazzetto, potrà fare un salto a Bari a intervistare Pietro Marino de “La Gazzetta del Mezzogiorno” (“Tra Puglia e Milano, Alto ha trovato la giusta misura di un rapporto umano e artistico. La sua estate pugliese è divenuta sempre più lunga e continua, una presenza recuperata anche di lavoro e non solo di incontri …”: ottobre ‘85); e a Martina Franca Domenico Blasi, direttore di “Umanesimo della Pietra”. Anche a Locorotondo, paese-bomboniera dal centro storico lindo e ricco di fiori sui balconi e sulle porte delle case, c’è chi ricorda Filippo e ne ha nostalgia. Giorgio e Diego ne hanno di lavoro da fare.






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