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mercoledì 29 gennaio 2020

Quasi 40 anni fa moriva Marche Poll


Marche Poll interpretato da Vincenzo Santoro

UN PERSONAGGIO AMATO DA

TUTTI NELLA CITTA’ CHE VANTA

DUE MARI 


Il suo ricordo non si spegne. Persino
I giovani sanno di lui. C’è chi vorrebbe
dedicargli un monumento da erigere
in piazza Maria Immacolata, con sotto
le scritte “’U Panarjidde” o “A vuè mo’?”.
“Sento ancora la sua voce e vedo il suo
passo”, dice un tarantino delle cozze.







Franco Presicci

A quasi quarant’anni dalla sua scomparsa, Marche Poll è ancora ricordato dai suoi concittadini con tenerezza. 

Giacinto Peluso con Presicci in una foto d'epoca












C’è chi dice di averlo incontrato spesso a suo tempo in via Di Palma vicino all’edicola-libreria Zappatore o nei pressi di quella di Fucci in via D’Aquino, che negli anni 50-60 (forse oltre) aveva il banco dei giornali all’esterno dell’androne dello stabile, a pochi passi dalla Casa del Libro di Nicola Mandese e dal negozio di tessuti di Nicola Dammacco, e all’interno la ricevitoria della Sisal; o in piazza Carmine...Ma quelli erano momenti di sosta, perché di solito questo personaggio amato da tutti, basso, asciutto, vestito in modo dimesso, un berretto da militare in testa, pelle incartapecorita, un tantino ricurvo, buono, soprattutto la sera, il sabato e la domenica andava avanti e indietro in quello che oggi è il salotto della città, chiedendo. “A uè ‘a buste?”, che conteneva la schedina del totocalcio già compilata, o “A vuè mo’?”. E se l’interpellato rifiutava, lui aveva la domanda di riserva: “Me la da’ ‘na segarètte?”. 

Alfredo Nunziato Majorano
A volte lo si vedeva al limite dei tavoli della Sem di don Ciccio Messinese, dove i clienti, gustando il caffè, guardavano il passeggio. Marche Poll non passava mai inosservato. I soliti “sciambagnùne”, per fare uno scherzo agli amici, tentavano di trasformarlo in banditore, proponendogli messaggi da urlare quando la via dello struscio era più affollata, ma lui non gradiva; e rilanciava: “A vuè mo’?”. Un’allegra, simpatica compagnia – la conoscevo bene - architettò un tiro birbone, sollecitando Marche Poll, appena spuntato tra la marea, a diffondere un annuncio: “Uagnè’, stàte attìende, a… (seguiva Il nome e cognome del destinatario, che era uno di loro), jè ‘nzuràte e tène pure quàtte figghie. Attìende avita stà’, non v’affedàte a quìdde”. Marche Poll rifiutò il servizio, ma non la mancetta. Quando nel ’59 gli universitari tarantini, per la festa della matricola, misero in scena, al Circolo dei Marinai, “’A sànda moneche” di Alfredo Nunziato Majorano, poeta, etnologo, autore di testi teatrali, al coordinatore del “cast” venne l’idea di assegnare un ruolo a Marche Poll: doveva attraversare il palcoscenico da destra a sinistra, gridando “’U panarijdde, ‘U panarijdde, accattàteve ‘U pamarijje, ca jè quìdde uagnòne ca no fàce màle a nesciùne!”, sventolando appunto il periodico, stampato nella tipografia Leggeri, in via Anfiteatro (di fronte a piazza coperta), allora diretto, se non erro, da un altro poeta egregio, Alfredo Lucifero Petrosillo, autore tra l’altro di un bellissimo poema: ”‘U travàgghie d’u màre”.Marche Poll svolse egregiamente la parte che gli era stata riservata, facendo esplodere applausi interminabili fra il numeroso pubblico; ma quando ci accingemmo a dargli il compenso pattuito protestò. “Me stè’ dàte ‘na mesèrie. ‘O cinemè e ‘o tiàtre pìgghiene decchiù’”. Facemmo una colletta e gli aumentammo il “cachet”. E andandosene aggiunse: Mo’ pegghiàteve ‘na bùste, vùne a ppedùne”. Ci dissero poi che l’idea di gonfiare la richiesta gli era stata suggerita da “’nu gamblàrie”, perditempo, avvezzo alla beffa. Marche Poll era un uomo straordinario. Una formazione musicale gli ha dedicato una canzone divertente, che ho sentito intonare nel borgo antico; in alcuni negozi campeggia la sua immagine; qualcuno tiene, bene incorniciato, il suo ritratto nel soggiorno.
Il negozio di Vincenzo Santoro in via Duomo
C’è chi auspica che il Comune faccia erigere un monumento in piazza Maria Immacolata. A Taranto vecchia, il figulo Vincenzo Santoro con negozio in via Duomo, dove insegna i rudimenti della ceramica ai ragazzini per sottrarli alla strada, dice: “Marche Poll invitava la gente a sfidare la fortuna, era buono, amabile, un mito, un simbolo di Taranto. Rimasi avvilito un giorno, quando, da poco rientrato a Taranto dopo un periodo di assenza per lavoro in provincia di Pavia, vidi alcuni giovani che facevano crocchio per dileggiarlo. Un episodio vergognoso”. E mi mostra uno dei suoi Marche Poll in terracotta che ha realizzato interpretando un proprio ricordo. Qualche anno fa Santoro mi fece dono di un volantino con un ritratto ad acquerello del vecchietto fra titoli di brani di Saverio Nasole, a conferma dell’affetto che ancora i tarantini nutrono per entrambi i personaggi.  

Negozio di Vincenzo Santoro
L’esercizio di Vincenzo Santoro è proprio di fronte al locale di Nicola Giudetti, che vanta centinaia di testimonianze dei tempi andati (“frascère”, “mòneche”, “strecature”, valve “de parecèdde”, “nàsse” in miniatura, “statère”, “capàse, “landèrne”, “pàlle, palètte e levòrie””… e processioni della Settimana Santa di creta modulata dalle sue mani.                                                                                                                              Insomma ciascuno dice la sua, e la dice con convinzione.
Nicola Giudetti
Come quel tale in camicia bianca, pantaloncini marrone, berretto da nostromo, “forestiero” di Taranto, che l’estate scorsa sulla Ringhiera nei pressi del Castello aragonese, rispolverando il passato, confidava ad un amico di sperare che lo eleggessero a maschera di Taranto come Pulcinella a Napoli. Forse i tarantini un giorno si dimenticheranno di Giacinto Peluso, egregio scrittore, che ha raccontato la città in modo esemplare, con personalità del presente e del passato, luoghi, storie e la storia, con uno stile scorrevole, semplice, allettante; di Claudio De Cuja, poeta consacrato e uomo riservato; di Alfredo Nunziato Majorano, che andava in giro “abbàsce’a marìne” per ascoltare il dialetto dai pescatori con le labbra screpolate ”ca renàcciàven’a rèzze” (ricordo la sua “Trucchelesciàte de fratèlle Spiridione”, come “Lassò Criste e scì alle còzze” di Corrado Greco). Ma la memoria di Marche Poll rimarrà intatta, visto che addirittura i giovani sanno chi era e che cosa faceva. Sanno che il suo era un nomignolo derivante non direttamente dal famoso viaggiatore, mercante, scrittore italiano, Marco Polo, ma dall’omonimo incrociatore corazzato, il primo, della marina militare, costruito nel regio cantiere di Castellammare di Stabia nel 1890, entrato in navigazione nel 1892, demolito nel 1922. Su quella nave era imbarcato il padre, Giovanni, del nostro beniamino, che al secolo era Amedeo Orlolla, nato il 22 agosto del 1896. 

Il municipio di Taranto
Alfredo Lucifero Petrosillo
















Lui parlava spesso del papà e s’inorgogliva quando riferiva il nome della nave sulla quale prestava servizio; e per questo suo orgoglio venne insignito di quel soprannome. Qualcuno gli offrivano una bottiglietta di Birra Raffo, lui spalancava uno dei suoi sorrisi coinvolgenti o rideva a bocca aperta. E sorride su un’etichetta di ottimo vino, apprezzato dappertutto fra gli intenditori e non. Quanti chilometri ha macinato Marche Poll, andando ogni santo giorno da un punto all’altro della città, con quelle sue scarpe grandi quanto quelle di un clown. Chi li ha potuti contare, quei chilometri? Se a un tarantino fosse venuto in mente di farlo, accompagnandolo dall’Arsenale all’ammiragliato e ritorno, battendo anche altre vie (Nitti, Acclavio, Pupino, Berardi, Crispi…) forse oggi Marche Poll sarebbe nel Guiness dei Primati. Un giorno lo avvicinai con l’intenzione d’intervistarlo, accettò in cambio di qualche lira. Ma dopo poche parole sopraggiunse un tale che gli chiese una schedina, e lui riprese il cammino, dimenticando l’impegno preso con me. L’acquirente mi rivelò che In precedenza grazie a quella ricevitoria ambulante aveva vinto una bella cifra. Nell’80 le ginocchia di Marche Poll cominciarono a cedere alla fatica e lui venne ospitato in una casa di riposo.Quando nell’82 morì l’amministrazione comunale allestì un funerale di prima classe con tanto di banda e il sindaco, il vice, gli assessori al seguito, oltre a una moltitudine di cittadini commossi. Sulla sua tomba sempre ricca di fiori, solo il nome, il cognome, le date di nascita e di morte e due vasi. E la foto. Ma neppure lì Marche Poll è solo. Tanta gente va a visitarlo, lasciandogli un garofano e una preghiera. “Sì, ma bisogna insistere per un monumento, magari in piazza Bettolo – ho sentito dire da un gruppetto di persone che conversavano davanti al portone del palazzo di via Di Palma che ospitò il cinema Odeon e al primo piano la sede del quotidiano “Il Corriere del Giorno”, che aveva come caporedattore alla pagina letteraria Vincenzo Petrocelli, giornalista attento, scrupoloso, innamorato di questo giornale che purtroppo ha avuto un triste destino. Proprio Cenzo una sera in cui smaltivo la villeggiatura nella mia città, regina del mare, mi offrì uno spazio su Tv Taranto per un’intervista a Marche Poll, ma mi schermii perché allora la telecamera mi creava imbarazzo. In seguito capitolai per il festival dei baffi, che si era appena svolto a Grottaglie con una coda di polemiche, ma ero alla fine delle vacanze e non avevo tempo per un’altra trasmissione. Ancora oggi mi pento di non averlo fatto in una rimpatriata fuori stagione.








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