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sabato 12 giugno 2021

Tre autorevoli autori parlano della Puglia

IL MERIDIONALISTA TOMMASO FIORE

E IL SUO POPOLO DI FORMICHE

Il fiume Galeso

In un suo vecchio libro Francesco

Giuliani unisce, commenta, critica,

interpreta brani di Nicola Serena di

Lapigio, di Kazimiera Alberti, di

Cesare Brandi. Vecchie pagine delle 

Edizioni Il Rosone

           

Franco Presicci

Quando avevo una decina d’anni mio padre mi portava al cantiere Tosi il giorno in cui era in programma il varo di una nave, e la cerimonia mi entusiasmava soprattutto nel momento del tradizionale lancio della bottiglia contro la prua. In una di quelle occasioni scoprii il fiume Galeso, che mi affascinò. Con il passare del tempo lessi le pagine del Gissing (“Sulle rive dello Jonio”) e rimasi amareggiato, perché l’autore dichiarava di essere stato deluso dal “’dulce Galaesi flumen’,’… sulle cui rive trovava pascolo una famosa razza di pecore con un vello così pregiato che veniva protetto da una gualdrappa di cuoio”.

Frutti di mare nei piatti di ceramica
Nelle mie rimpatriate a Taranto mi proponevo sempre di andare a visitarlo, questo gioiello della mia città, ma un imprevisto ogni volta me lo impediva, facendomi poi sentire un amante infedele. Un po’ di anni fa mi decisi, e dovetti tentare più volte non riuscendo ad arrivarci: non c’erano indicazioni precise e le domande a questo e a quel passante cadevano nel vuoto. Alla fine un pastore m’illuminò. Ed eccolo, il Galeso, ingolfato da grosse barche cariche di mitili, gli ori di Taranto. Quando le “cuzzarùle” seppero che venivo da Milano mi fecero festa e posarono per la macchina fotografica che portavo al collo. Il Galeso tanti anni prima lo avevo visto solitario, senza neppure il rumore dell’acqua, che scorreva placida all’ombra di alberi ad alto fusto. Mi capitò di parlarne con Tommaso Fiore, che a volte andavo a trovare a casa, quando andavo all’Università di Bari, per un esame o per una lezione dei professori Coviello, De Robertis, Dell’Andro…, che tra l’altro dirigeva una rivista di studi sulla Battaglia di Canne. “Mi hai fatto un regalo”, diceva don Tommaso aprendomi la porta, e mi faceva accomodare nello studio o nella camera da pranzo, anche quella con file di libri.

Via Garibaldi

Un giorno mi invitò a seguirlo fino alla sede del partito socialista, dove aveva un appuntamento, e durante il percorso mi fece domande su Taranto. Un altro giorno gli dissi che avevo prestato “Un popolo di formiche” a un amico che non me lo aveva restituito. E lui, calmo e comprensivo: “Adesso tu vai alla casa editrice Laterza, a mio nome ti fai dare dal capo ufficio stampa, in omaggio, per recensione il libro e poi torni per la dedica”. Di don Tommaso custodisco come reliquie alcuni messaggi su cartoline postali. Soltanto poche righe. In uno mi accennava a un libretto di prossima uscita sul programma amministrativo di Bari: me lo avrebbe spedito appena distribuito, per farmi vedere come si gestisce una città. Nel giugno del ’57 mi comunicò che il figlio Vittore, capo ufficio stampa della Fiera del Levante, con il libro “Ero nato sui mari del tonno”, aveva vinto il Premio Fraccacreta, che gli sarebbe stato consegnato a giorni in una cerimonia a San Severo, la città in cui avevo trascorso quattro anni, in casa di mio zio Luigi, uno di quei contadini amati da don Tommaso. 

Mar Piccolo

Il giorno della premiazione presi il treno e fui uno dei primi ad arrivare nel Teatro comunale, in cui anni addietro avevo sentito cantare Giacomo Rondinella e visto recitare Guglielmo Inglese, attore caratterista (recitò anche con Totò), figlio di attori pugliesi, che in una scena di un film diceva a un amico, con il suo modo di parlare particolare, di aver mangiato un pesce del quale aveva dimenticato il cognome. Dopo tanti anni, una sera incontrai il grande meridionalista sul piazzale della stazione ferroviaria. Era diretto alla redazione de “La Gazzetta del Mezzogiorno”. Ricordando la mia passione per il Galeso, mi chiese scherzosamente come andasse la mia relazione con il fiume. “Il mio sentimento è sempre vivo. Il Galeso ce l’ho nel cuore. 

Il ponte girevole

Come ho nel cuore la mia Taranto”. Da allora non l’ho più visto. Seppi della sua morte e mi s’inumidirono gli occhi. Ho divorato tutti i libri di don Tommaso: “Incendio al Municipio”, edito da Lacaita come anche “Sull’altra sponda”, “Paese di Utopia”, “Un cafone all’inferno”, del ’55, “Un popolo di formiche”, del ’51… Incontro don Tommaso in uno dei tanti vecchi libri di Francesco Giuliani della collana “Viaggi novecenteschi in terra di Puglia” - edizione del Rosone – che descrivono la Puglia, mai in modo apologetico. Fra l’altro Giuliani vi riunisce brani di opere di Nicola Serena di Lapigio, di Altamura, Kazimiera Aberti, “personaggio non trascurabile della letteratura polacca del Novecento (scrive Giuliani), e Cesare Brandi, di Siena. Giuliani li commenta, li integra, li lega saggiamente, aggiungendo brevi note biografiche di ognuno di loro. Di Fiore l’autore dice: “Lo scrittore guarda alle concrete condizioni di vita, interroga sindaci e sindacalisti, pubblica dati sulle case disponibili, stigmatizza la disumana esistenza dei pescatori dei laghi garganici…, il suo umanesimo ha una chiara connotazione politica, che rivela il bisogno, senz’altro nobile, di operare concretamente in favore del prossimo…”. Una figura che non si può dimenticare: piccolo di statura, ma grande per il suo impegno politico. Un esempio, un faro. Don Tommaso era nato ad Altamura, di cui fu sindaco. Oppositore del fascismo, subì il confino e il carcere e perdette il figlio Graziano nella strage di via Niccolò dell’Arca, a Bari, il 28 luglio del ’43. Con “Un popolo di formiche” vinse il Premio Viareggio nel ’52. E’ stato uno dei grandi della Puglia, regione della quale l’Alberti è entusiasta. Lo è di Lecce, Castel del Monte, Molfetta, Martina Franca… La nostra regione la difende a spada tratta dagli scettici e dai superficiali. Definisce Taranto “una stella della Magna Grecia” e scopre con piacere i treni delle Ferrovie Sud-Est, che l’hanno portata “attraverso città e cittadine, villaggi, pianure e colline, per vigneti e frutteti… Le Ferrovie svolgono una preziosa funzione turistica, economica, ma anche culturale… Più di novanta treni viaggiatori corrono, galoppano, trottano attraverso il calderone pugliese ed alla fine del giorno annotano una bella cifra: abbiamo percorso cinquemila chilometri, cosicchè ogni otto giorni facciamo il giro del mondo”. Della città nata, secondo una leggenda, da Taras, figlio di Nettuno, o da Falanto per un’altra, dice: “… vive sul mare e vi si respira un’aria mediterranea, frizzante; i tradizionali frutti di mare spiccano ovunque, allettanti, formando un soggetto meraviglioso per un pittore di nature morte”; e, aggiungo, una delizia per il palato. I mitili di Taranto sono ricercati nel mondo, e celebre ovunque è lo splendore della nostra culla con i suoi tramonti che infiammano l’orizzonte. La città vecchia è un teatro all’aperto con angoli che sono fondali e quinte di teatro, tra cui si svolge la vita quotidiana. Io sono contento di essere nato a Taranto, in questa città in cui dappertutto s’impone la bellezza, e questa bellezza riscopro ogni volta nei miei approdi. Come l’Alberti vado al museo archeologico, visito monumenti, la Cattedrale, San Domenico, la Villa Peripato…. 

Mar Piccolo
La scrittrice osserva le persone del borgo e della città vecchia; immagina di percorrere Taranto sul dorso di un delfino. E’ abbagliata dalla bellezza di Taranto. “L’anima ha bisogno di pace, di quiete, e la lunga balconata di Puglia è l’ideale”. Nel volume si coglie Cesare Brandi di ritorno in Valle d’Itria. Lo ricordo in “Pellegrino di Puglia” e in “Martina Franca”, le preziose, eleganti pagine pubblicate da Guido Le Noci, titolare della prestigiosa galleria d’arte “Apollinaire” di Milano (chiusa da anni). Il volume sulla città dei trulli e del Festival è ricco fra l’altro di immagini spettacolari. Torno al Galeso, fiume sacro per chi lo ama. Dovrebbe essere più rispettato: rasserena lo spirito. Non smetterò mai di manifestare la gioia che provo nel vederlo, e nel vedere Taranto, che ha ispirato virtuosi della penna e maestri della tavolozza, che l’hanno riprodotto persino nelle valve delle “paricelle”. Non dimentico il ponte, il lungomare, il Castello Aragonese, le vecchie vie, le case di Taranto, le barche, piazza Fontana, la dogana, le paranze. “Le mie ultime ore – dice il Gissing - furono rallegrate da bellissimi tramonti; ne ricordo uno in particolare; lo ammirai per un’ora e più dalla strada panoramica della città insulare. Una luce squisita, dopo che il sole fu sparito, sembrava non volersi spegnere mai”. Chi non conosce i tramonti della Bimare. Quei colori incantano, rapiscono.












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