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mercoledì 2 giugno 2021

La sera in cui seppi che era morto Berto

UN CANTASTORIE DI ECCEZIONE

CHE SI ESIBIVA NELLE OSTERIE


Il giornalista Giuseppe Barigazzi, che

lo aveva conosciuto e ascoltato, lo

ha descritto in un suo vecchio libro, 

“Le osterie di Milano”, che ha la 

presentazione di Indro Montanelli.

Il giornalista-scrittore lascia anche il

Volume “La Scala racconta”. 

 


 

Franco Presicci 

Nanni Svampa con Franco Presicci

Fu Giuseppe Barigazzi, che al “Giorno” dalla redazione Spettacoli era da poco passato in Cronaca per occuparsi di Cultura, la sera del 18 novembre ’83, verso le 20, a dirmi della morte, a 77 anni, di Berto, al secolo Umberto Caravaggi, famoso cantastorie milanese: si avvicinò al mio tavolo e a bassa voce mi dette la notizia. Lui lo aveva conosciuto, Berto; e lo aveva anche ascoltato nelle osterie in cui si era esibito, a cominciare dal “Tranin” di Precotto, dove gli appassionati, milanesi indomabili che parlavano un dialetto rigoroso, arrivavano da ogni zona della città per applaudirlo, il giovedì e il sabato. Barigazzi aveva scritto un libro bellissimo sui cantastorie e sui locali che deliziavano con i loro brani. Il volume è impreziosito dalla presentazione di Indro Montanelli (“… Barigazzi non è milanese anche se in questa città vive da dieci anni. Vi emigrò da Parma dove si è fatto le ossa e i muscoli di giornalista alla scuola e sotto la frusta di Baldassarre Molossi…”). Quella sera dell’83 lo sentimmo pronunciare un “Nooo!” prolungato al telefono, che fece sussultare Adelaide Murgia, la collega più anziana, riservatissima e taciturna, cementata alla sua scrivania per tutto il tempo del suo lavoro.


Ero impegnato nella stesura di un articolo su una bisca clandestina, una specie di roccaforte fornita di sentinelle con walkie-talkie nei punti strategici, sbancata dalla polizia la notte precedente. Oltre che collega, Giuseppe era un amico. Avevo letto il suo libro sulle osterie e sapevo parecchie cose di Berto, tra l’altro una persona simpatica e divertente. Così cominciai subito un giro di telefonate per raccogliere i ricordi di chi lo aveva seguito, stimandolo: “Era un uomo favoloso – commentò la moglie di Nanni Svampa – apparteneva a una categoria di persone quasi estinta”.
Lino Patruno

E Lino Patruno, jazzista di grandissima fama: “Lo incontrai la prima volta con Svampa negli anni 60, quando con Brivio, Magni e lo stesso Gianni formammo I Gufi. Cercavamo materiale di folklore, vecchie tradizioni popolari dalla viva voce dei cantastorie che bazzicavano i ‘trani’ della periferia della città e trovammo Berto”. Fu lui a indicare ai quattro del famoso complesso una delle opere di maggiore successo: “El ridicol matrimoni”, bosinada di fine secolo, protagonista un tale che, sceso a Milano a cercare moglie, la trova in un “trani”. Nanni e compagnia la inclusero ne “La Milanese”, sedici dischi 33 giri sulla Milano di una volta, presentati alla Cascina Abbadesse di viale Zara, in una serata affollata di critici, cronisti, dirigenti di case discografiche, convocati dall’ufficio stampa della Durium di via degli Osii, che aveva pubblicato la raccolta.

Era anche un uomo molto umano, Berto. Amava il Barbera, che come Barbapedana (Enrico Molaschi, il prototipo dei cantastorie meneghini, “ch’el gh’aveva el gilè long una spanna…”) buttava giù tutto d’un fiato tra un pezzo e l’altro; i piatti appetitosi e le “ostie” di salame. Personaggio vivo, autentico, “di una semplicità quasi ingenua”, che – ricorda Barigazzi - si affezionava alle sue canzoni come a una creatura. Voleva che rimanessero per sempre patrimonio delle osterie, tramandati di anno in anno da quei personaggi genuini che sono appunto i cantastorie. E quando, per esempio, il brano “La Balilla” fu portato in teatro e in televisione e inciso nei dischi, lui non volle più interpretarlo, nonostante gli fosse richiesto a gran voce dagli avventori dei “trani”, appassionati della sua arte.

Cascina dei Pomi
A Milano, di “trani”, ce n’erano tanti: il “Tranin” di via Erodoto, a Precotto; la Bocciofila Martesana, in via Tofane, dove Berto andava la domenica; la “Conca fallada”, in via Chiesa Rossa, dove furoreggiava la canzone ”Magnano”, che Cochi e Renato, allenati nel “trani”, portarono al “cabaret”; “Vecchia Gorla”; la “Brusada”, in viale Federico Caprilli, a due passi dall’ippodromo di San Siro, aperta nel 1875 in una cascina, primo titolare Ercole Bozzo; la “Magolfa”, nell’omonima via, poco distante dal Naviglio Grande, dove le signore eleganti, nutrite di galateo, si rallegravano ascoltando i brani dei menestrelli; l’osteria “I tri Basej, in via Valpetrosa; “la Cascina dei Pomi, dove arrivavano comitive con i “barchetti”, l’omnibus, le vetture di piazza per una gita fuori porta; il vicerè Raineri; Giacomo Casanova; Carlo Porta, al quale, senz’alcuna giustificazione, fu attribuito un brindisi del 14 maggio 1809 che inneggiava allo scampato pericolo corso dalle truppe napoleoniche in un attacco improvviso degli Austriaci sull’Isonzo”


A sentire cantare Berto, riviveva la Milano dei ballatoi delle case di ringhiera, con le liti e i pettegolezzi delle donne nei cortili di corso San Gottardo (“el Borg di formaggiatt”), di via Borsieri, e un po’ anche la Milano di Paolo Valera, la via Scaldasole, “quei di cuni, venditori di corolle di castagne secche infilate in uno spago.

Di professione Berto faceva il pellettiere; il giovedì e il sabato, come detto, andava al “Tranin”; la domenica alla Bocciofila Martesana, sorta nel 1907 (il gioco delle bocce vi si svolgeva su due campi divisi a metà da un cordone di cemento). Quando non c’era, gli amici dicevano di lui: “L’è in gran turismo”, perché si spostava in automobile, ma per lavoro, non per vanagloria o per passatempo.
Umberto Caravaggi, Berto

Comunque, quando lui arrivava era subito festa. E parlando di Berto ci vien voglia di riaprire “Le osterie di Milano”, che sono, per Montanelli, “quanto di meglio, credo, sia stato scritto sull’argomento. All’occhio e alla penna di Barigazzi nulla infatti è sfuggito”. Il vecchio Leone aggiunge: “Sono pagine che si leggono d’un fiato, zeppe di aneddoti, popolate di personaggi illustri e oscuri…”).

“In piazza Belfanti – racconta Barigazzi - alla sinistra dell’imbocco di via Spezia, il rettilineo che porta all’autostrada dei Fiori, c’è il più famoso vivaio di cantastorie, la “vecchia osteria al Praticello”, gestita dal 1886 dalla famiglia Invernizzi - Fontana, che la rilevò quando già era attiva da una ventina d’anni: ebbe fra il pubblico Pietro Nenni e altri “leader” politici anche del regime. Rispolvero questo volume con estremo interesse e con malinconia, perché da tempo Peppino Barigazzi, di cui resta anche un altro interessantissimo volume, “La Scala racconta”, non c’è più. Restano anche le descrizioni delle atmosfere dei luoghi, alcuni scomparsi, e le canzoni che vi venivano interpretate: “Il loro repertorio comprendeva cochonneries” e canzoni di tradizione, diciamo così, di quelle che fanno sorridere per la loro carica d’ironia senza far arrossire nessuno”. Al “Praticello” i “Gufi” cantavano “L’Ambrusin”, la storia di un tale che si imbatte in una donna su un tram e va con lei in un trani a sorseggiare un “cichett”, vagheggiando uno di quei piaceri da annoverare tra i ricordi memorabili; e invece la signora propone “un spuntin” per tacitare lo stomaco, e lui pensa alle lacrime del portafoglio mentre lei mangia come se non lo facesse da chissà quanti anni. Alla fine lo invita a casa sua per bere un caffè e lì una rivelazione lo sconvolge: “lei” è un “lui”.

Barigazzi aveva incrociato Berto al “Tranin” e lo considerava un cantastorie d’eccezione: “Giusto uno di quelli che tengono una chitarra all’osteria e una a casa”. Il Berto, che divertiva; che quando cantava faceva dimenticare i problemi quotidiani. “Il primo saggio che ci ha dato del suo repertorio è durato due ore, due ore trascinanti di ‘risotti’ e Barbera, pane e cotechino, in un’atmosfera autentica e viva, fra gente che ama la vita e sa goderla nei suoi aspetti più semplici e genuini. Due ore deliziose, di quelle che mettono allegria, ti ricaricano”.
Il Giambellino oggi

Ma che cosa dice “La Balilla”, che Berto non voleva più interpretare perché commercializzata? E’ la storia di uno che, accumulato un bel po’ di denaro, acquista la famosa auto prodotta dalla Fiat negli anni 30 ed esposta alla Fiera di Milano due anni dopo, per trovarsi poi con in mano un pugno di mosche, perché amici e parenti lo hanno prosciugato. Continuavano a cantarla Enzo Jannacci, i Gufi, Giorgio Gaber, di cui si ricorda “Trani a gogò” e la ballata del Cerutti Gino, che frequentava il bar del Giambellino, testo di Umberto Simonetta. Io incontrai Gaber, cantante, cabarettista, attore, regista milanese, una sera all’Intra’s Derby Club di viale Monterosa, mentre il pubblico, che annoverava anche Paolo Stoppa e la moglie Rina Morelli, applaudiva con entusiasmo credo proprio i Gufi.

Berto aveva un repertorio ricco e variegato: tra l’altro, come altri cantastorie, creava brani amalgamando i ritornelli di diversi altri: una serenata a un’ispirazione antiaustriaca, coinvolgendo anche motivi della malavita, come “Mi redimo”. Contaminazione felice e divertente.

Quando morì, Berto non era stato dimenticato. Lo notai il giorno dopo ricevendo diverse telefonate di meneghini desiderosi di sapere particolari sulla sua morte. Quando arrivò Giuseppe Barigazzi, io ero già al giornale da un pezzo.
Franco Trincale in piazza Duomo
Passò davanti al mio tavolo, amareggiato per la perdita di un artista che apprezzava e si complimentò per il ritratto dello storico menestrello che avevo fatto. Io non lo avevo mai visto, Berto; ma Svampa, Patruno, Magni, Brivio, Intra, Gaber… sì. Come ho conosciuto un menestrello dei giorni nostri, Franco Trincale, che per anni si è esibito in piazza, prevalentemente in San Babila a Milano, ha pubblicato dischi, raccolte, ha mandato in bestia uomini politici: il suo repertorio si snoda su temi di via quotidiana e di polemica politica. Adesso, Trincale, che è diventato un amico, ha ottenuto dallo Stato la pensione prevista dalla legge Bacchelli. Qualche mese fa è ricomparso in piazza Duomo, calamitando centinaia di persone. Io l’ho ascoltato in una registrazione. L’essere anziano non comporta l’esaurimento della creatività.


2 commenti:

  1. Berto Caravaggi, negli anni 1960-80 ha frquentato parecchio tempo anche casa mia
    Bottiglieria chiamata Bocciofila Ponte Vecchio sita in via L. Bertelli 8 (Gorla) sono in possesso di sue foto nel campo bocce che gioca con amici nel campo gioco allora chiamato: gioco alla milanese! e-mail g34lazzaroni@gmail.com
    Buongiorno a tutti.

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  2. Invio solo una comunicazione per dire che il cantastorie Berto Caravaggi ha conosciuto anche casa mia, bottiglieria e bocciofila Ponte Vecchio sita in via L.Bertelli N° 8 Gorla.
    E' stato anche socio negli anni per 20 anni, dal1960-1980 posso mostrare anche delle foto dell'epoca in campo con gli amici nel gioco bocce, gioco allora chiamato campo alla milanese. il mio e-mail g34lazzaroni@gmail.com

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