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mercoledì 30 giugno 2021

Un salto a Casasco d’Intelvi

VISITA AL MUSEO ETNOGRAFICO

E DELLA CIVILTA’ CONTADINA

Osservando centinaia di oggetti

di ogni genere, abbiamo avuto

l’impressione di fare un viaggio

nel passato, per merito anche del

prosindaco Giulio Zanotta, che ci

ha fatto da guida.

 

Franco Presicci

Al termine di una strada lunga fiancheggiata da ville e distese di verde si arriva al museo etnografico e della civiltà contadina di Casasco, qualche chilometro da San Fedele d’Intelvi.

Scalini che portano al museo
Giunti alla mèta, si scendono una decina di scalini e ci si trova subito di fronte a un piccolo “stand” con testimonianze dell’epoca dei contrabbandieri: una bricolla; scarpe di juta che quelli calzavano per attutire i rumori e non mettere all’erta i finanzieri della vicina caserma; cappelli; uncini che alla vista delle “Fiamme gialle” gli “sfrosadùr” (come gli artefici del traffico illecito vengono indicati nel dialetto locale) usavano per liberarsi del peso delle sigarette e darsela a gambe…

 

Il prosindaco con la "Raganella"

A farci da guida in questo scrigno è il prosindaco Giulio Zanotta, ex alpino dalla memoria ferrea, che ripercorre agevolmente itinerari storici e usi e costumi della valle Intelvi, da qualcuno definita il polmone verde della Lombardia”, per i suoi alpeggi e i suoi boschi. “Dal 1870 - dice Zanotta - questa era una zona di gente dedita al contrabbando che si muoveva tra l’Italia e la Svizzera: 30 chilometri di sgambata con circa 30 chili sulle spalle (ogni bricolla conteneva 800 pacchetti di sigarette). A dar loro la caccia erano prevalentemente militari meridionali che non avevano mai visto la neve né provato tanto freddo; e nel nostro vernacolo erano “burlanda”, termine che non aveva un significato elogiativo. Fino agli anni 50 i contrabbandieri portavano da qui riso, pneumatici e altro in terra elvetica e rientravano con Malboro e altre marche. 

Pentole

 

Nel 1870 le autorità fecero sistemare una rete lungo il confine disseminandola di campanelli che segnalavano movimenti sospetti. Poi le cose cambiarono, nel senso che negli anni 80 del 90 il fenomeno si estinse”. “Una chicca: nel 1926 i contrabbandieri portarono in Svizzera un famoso oppositore del Fascio. E rimanendo in argomento Bettino Craxi (registrato con il nome Benedetto e il cognome Graci per assecondare le imposizioni anagrafiche e linguistiche del regime) fece parte delle elementari a Casasco; e negli anni successivi ci veniva per incontrare i vecchi compagni di allora”. Non sono i soli particolari che il prosindaco può somministrare, suscitando sempre molto interesse. 

Arcolaio
Ma ne ha molti nell’archivio mentale. E gli piace snocciolarle. E’ persona simpatica, colta e disponibile. Ha spalancato apposta per noi la porta del museo, la cui apertura ufficiale è prevista per la domenica successiva. Perciò nel museo c’è poca luce, qualcosa da mettere in ordine e manca la pregevole pubblicazione di qualche anno fa sulla sua storia, con un considerevole corredo d’immagini. Giulio Zanotta, che ha ottima conoscenza dello spazio e delle preziosità che contiene, mi descrive tutti i pezzi anche nei dettagli, inserendoli negli anni storici in cui sono stati utilizzati. E lo fa con entusiasmo e anche con orgoglio evidente. Nel museo sono raccolte anche testimonianze delle guerre combattute dal nostro Paese: divise, armi, fibbie, gradi, insegne…, “che evocano i tempi in cui i lombardi prestavano il servizio di leva nell’esercito austroungarico”. Non ci sfugge una pinza tagliafili usata dai contrabbandieri per creare varchi nella rete di confine. “L’attrezzo era già stato usato dai soldati durante la Grande Guerra”. Ed ecco la divisa del Battaglione Alpini Val d’Intelvi, che fu impegnato sull’Adamello. Ed ecco ancora la vetrina con i cappelli: quello degli alpini; il colbacco della ritirata di Russia; il copricapo di un ufficiale delle “Fiamme Gialle”; un elmetto del primo conflitto mondiale. In un’altra piccola sala Giulio prende una “raganella” e la agita facendola gracchiare: “I bambini la suonavano, e la suonano ancora, il Sabato Santo, quando tacciono le campane delle chiese”. Il suo “suono” è un po’ come quello della “troccola” che scandisce i passi nella processione dei “Misteri” a Taranto, commenta la signora che ci accompagna. 

Abito per giovane da marito

Bascula

 In un angolo è sistemata la cucina del Palazzo Ferradini, famiglia che per due secoli gestì la Fabbrica del Duomo di Milano; in un altro, un indumento indicato da Giulio come “la divisa del pastore comunale, che portava al pascolo pubblico i bovini soffiando nel corno”. Figura ormai scomparsa. E’ dunque una fonte inesauribile, Giulio Zanotta. Le parole gli vengono fuori come l’acqua dalla fontana di fronte che alimentava l’abbeveratoio per i bovini e qualche capra che vi venivano raccolti per essere portati a pascolare. Ed è piacevole ascoltarlo. Coinvolge, con la sua dialettica. Non annoia, non ci induce a guardare le lancette dell’orologio. Sembra un docente che elargisce con leggerezza nozioni di storia senza salire in cattedra. Anche quando apre una teca e ne trae il fucile imbracciato da un giovane balilla. “Sino al 1950 i magistri intelvesi hanno lavorato nell’edilizia in ogni angolo della Mittle Europa, e non solo. E mi illustra alcuni reperti: Tra questi “imitazioni di calchi eseguiti da artigiani del luogo con modelli della famiglia Ferradini”. Erano muratori, capimastri, scalpellini, decoratori, architetti, stuccatori e anche pittori, oltre che costruttori. Ovunque abbiano lavorato hanno lasciato orme del loro valore; e siccome erano lontani, in tutta la valle vigeva il matriarcato. Erano le donne che portavano avanti non solo la casa, ma anche la terra e la lavorazione dei boschi con maestranze che arrivavano da altre zone. Ne hanno fatte di fatiche, le donne di Casasco, Castiglione e degli altri paesi vicini. 

La molatrice

Allora non c’erano né acqua né luce”. Uno scritto protetto da una cornice a giorno informa: “L’alimentazione giornaliera era molto povera, scarsa, al limite della miseria e basata principalmente, sino a tutta la metà degli anni 50 del secolo passato, sui latticini, i cereali, il piccolo allevamento familiare e su quanto potevano offrire l’orto e il bosco: castagne, noci, funghi… “. Tra i piatti, descritti da un altro cartello, l’urgiada, a base di orzo; la brusada, a base di farina bianca abbrustolita… Non erano certo migliori le condizioni di tante famiglie del nostro Mezzogiorno. 

Facciata del Museo
Il museo alloggia in poche salette collocate su tre piani. In una di queste altri esemplari: gli attrezzi del lavoro contadino e quelli adoperati dalle massaie: l’arcolaio; la stadera; lo scaldaletto; la bascula, grande bilancia presente negli stabilimenti commerciali anche da noi; la “comoda”, vaso da notte sotto un buco del seggiolone; gli zoccoli realizzati a mano; abiti degli anni in cui si faceva il corredo per le ragazze da marito; pentole; tegami; una molatrice; una macchina per fare il gelato; e poi vanghe, zappe, falci, un frammento di aratro sdentato. A vederlo da fuori il museo sembra una casa privata come altre fatta di pietra; ma quando vi si entra non finisce mai di stupire. Anche per le innumerevoli notizie che il prosindaco fornisce, persino quelle sui vari aspetti del paese, con le vie a saliscendi, strette, qualcuna quasi una mulattiera, ma ben tenuta.

Casasco d’Intelvi

Un paesino comunque bello, riposante, con qualche signora che conversa seduta sugli scalini di casa (come a Martina Franca), attaccata a questo piccolo mondo pieno di ricordi.

Casasco d’Intelvi

Abbeveratorio
  
Su una parete è affisso anche un piccolo manifesto con la scritta: “Stazione di monta taurina. Tassa di monta, lire 10 per ogni salto”. Prima di salutarci Giulio Zanotta mi ha dato alcuni “dèpliant”. In uno leggo che “i magistri comacini “erano una corporazione caratteristica della regione dei laghi prealpini. 
 
Corporazione di cui si rinvengono tracce nel codice del re longobardo Rotari, che nel 643 ne autorizza l’attività e ne regola i doveri”. Un po’ come i regolamenti che una volta contrassegnavano certi mestieri a “Milano.Quello degli orafi, per esempio, ai quali è dedicata la via Orefici ed altri via Spadari. 
 
Macchina per il gelato
Torniamo a guardare la bricolla e il nostro anfitrione aggiunge un commento: “Il contrabbando era un rimedio alla fame, alla povertà”. Ah dimenticavo, quando ha aperto i battenti il Museo? “Negli anni 90, voluto dal sindaco di allora Piergiorgio Cairoli, con l’obiettivo di raccogliere, custodire e trasmettere alle generazioni future il patrimonio della civiltà contadina, della montagna e delle attività artigianali…”. Vanta centinaia di pezzi, tutti catalogati, compresi foto e documenti. E’ di proprietà comunale ed è gestito dall’Associazione Amici del Museo (sorta nel 2010), che organizza eventi culturali, tra cui mostre, convegni, serate musicali, camminate didattiche sul sentiero del contrabbando. E, come dicono gli stessi “Amici”, è “una testimonianza culturale e umana che ha lo scopo di legare i casaschesi e le genti della valle d’Intelvi alle proprie origini”. Lasciato il Museo, mi sento più ricco. Il prosindaco Giulio Zanotta mi ha fornito fatti, date, preziosità, ha ricreato atmosfere, scortandomi in un viaggio all’indietro su percorsi inesplorati. Giulio è la memoria storica di Casasco, 474 abitanti, un delizioso centro storico, una selva di castagni, 820 metri d’altezza, in provincia di Como. Un paese-bomboniera, da scegliere per trascorrere in pace e tranquillità la villeggiatura, tra nevere, lavatoi, sostre, ricoveri per animali nei pascoli in quota, “casel dal lacc”: piccola costruzione dove anticamente venivano messi le conche del latte per ottenere la panna. Da Argegno (una piazzetta da fiaba), ove sostano i traghetti che portano i turisti in gita sul lago di Como, lo si raggiunge in mezz’ora, passando da Castiglione, San Fedele d’Intelvi…, venendo da Milano. Per visitare il Museo etnografico e della civiltà contadina la gente viene da ogni parte. Non solo da Pellio, Dizzasco, Como, Lecco, Campione d’Italia, ma anche dall’estero: emigrati alla scoperta delle proprie radici. Il Museo, con le bellezze naturali e le gemme artistiche del paese, rappresenta il fiore all’occhiello di Casasco.




1 commento:

  1. Un articolo davvero ben fatto che invoglia a visitare il Museo e a conoscere meglio il borgo di Casasco

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