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giovedì 5 agosto 2021

Vecchia cronaca del “Giorno”

Il palazzo del Giorno in via Fava
TROTTAVAMO COME CAVALLI

A SAN SIRO I GIORNI DELLE CORSE

Ci definivano cronisti di razza e

cani da tartufo. Consumavamo

scarpe, senza guardare al tempo

che passava. Le notti insonni non

erano per noi sacrifici.

Franco Presicci

I cronisti della vecchia cronaca del quotidiano “Il Giorno” galoppavano come un purosangue. Non contavano mai le ore, e quando sentivano l’odore di una notizia le davano la caccia e non si fermavano fino a quando non la prendevamo all’amo Una volta Patrizio Fusar si mise alle calcagna di un ricercato per oltre una settimana, prendendo treni e aerei, annotando i suoi passi, le sue direzioni, le sue soste, i suoi incontri. E quando il mitico vicedirettore Angelo Rozzoni gli chiese di rientrare a casa, cedendo il passo ad un altro segugio, lui lo supplicò di lasciarlo proseguire.

Nino Gorio fra Giuzzi e Pertini

Nino Gorio fece uno “scoop” sensazionale e vinse il Premio Cronisti dell’Anno a Senigaglia. Nino Leoni non fu da meno; e neppure Giancarlo Rizza. Altro cane da tartufi, Maurizio Acquarone, che tra l’altro, il 15 marzo del ’72, scoprì l’identità del corpo trovato sotto il traliccio dell’alta tensione a Segrate. Le penne d’oro non si contavano: Mario Zoppelli, Guido Nozzoli, Mario Nasi, Piermaria Paoletti, Enzo Macrì, Giancarlo Fusco, che scrisse anche libri (“Le rose del ventennio”, “Quando l’Italia tollerava”…). Nel ’79 quella cronaca ebbe altra energia con l’arrivo di Enzo Catania nella veste di pilota. Era un vulcano. Partoriva un’idea dietro l’altra. Non entrava nel salone della cronaca, irrompeva. Lo soprannominavo “Terremoto”. Mi assegnò la prima inchiesta sul “racket” delle pompe funebri, per la quale stabilì 19 puntate e faceva personalmente i titoli ai “pezzi”. 

Enzo Catania

Presicci in un disegno di Mellone
 

Poi a me e a Carlo De Barberis, deceduto ad Antibes recentemente, affidò un’inchiesta sulla prostituzione maschile, per la quale io e il collega trascorremmo sette notti al Parco Ravizza e sul viale della circonvallazione per raccogliere storie, qua e là allucinanti, delle persone che battevano quei luoghi. Una di loro, autrice di un libro autobiografico di poesie, si era invaghita, ricambiata, di un collega d’ufficio e quando la storia trapelò dovette abbandonare il lavoro e per la disperazione si lanciò contro un tram, riportando fortunatamente danni non lievi. Un’altra venne cacciata da casa appena il suo stato si seppe in famiglia; e lei dal suo paese si trasferì a Milano anche per sottrarsi al vituperio della gente. Nel nostro lavoro notturno, esercitato dopo quello diurno, ci accompagnava il maresciallo di polizia Ennio Gregolin, che passava ore e ore sulla strada, di giorno e di notte, a smantellare bische clandestine e ad acciuffare manutengoli. Fu lui a guidarmi una notte nello scalo ferroviario di viale Monza, dove si rifugiavano senzatetto, detenuti appena usciti da San Vittore e chi non aveva i soldi necessari per dormire all’albergo popolare, dove pernottai anch’io due volte per darne conto ai lettori, e rischiai di essere aggredito. Questi emarginati risposero a tutte le mie domande, quasi fossi un confessore in grado di raccomandarli al Padreterno. Quando consegnavo l’articolo, Catania si esaltava e alla riunione di redazione lo descriveva a tutti, direttore compreso. Così faceva con Piero Lotito, Giorgio Guaiti, Nino Gorio, Giovanni Basso, uniti nella “nera”. La fatica, le notti insonni non ci disarmavano. Con un comandate come quel barbuto e scatenato il bastimento poteva navigare su qualunque tipo di mare.

Il cronista Giancarlo Rizza
L’equipaggio era sempre all’erta, disposto a percorrere ogni rotta. Quando il 26 giugno dell’84 il delitto di Terry Broome in corso Magenta riempì le pagine di cronaca e anche le prime, da Roma ebbi la notizia che l’aspirante fotomodella americana era stata arrestata all’Hotel Bahnpost di Zurigo. Lo riferii a Catania, che telefonò alla segreteria di redazione: “Prenotate il primo volo per Zurigo per Presicci”, e alle 14 ero già a bordo di fianco al dirigente della sezione omicidi della questura Enrico Macrì, un amico. Catania era un siciliano doc. Aveva lavorato al “Tempo Illustrato” di Nicola Cattedra, aveva intervistato boss della mafia; a dorso di mulo, seguito dal grande fotografo Uliano Lucas era salito sui monti della Sardegna alla ricerca di sequestratori da intervistare… Non si fermava davanti a niente: era quello che si dice un cronista d’assalto.

Catania tra i prefetti Colucci e Serra

Nicola Cattedra, che poi venne a lavorare anche lui al “Giorno”, seduto nella sala di Romeo Giovannini, che aveva tradotto i classici dal latino, Catania lo aveva nel cuore. Quando lo sentiva urlare, guardava oltre la porta e diceva al fattorino: “Chiudi la finestra, sta arrivando il temporale”. Ma erano soltanto tuoni. Una sera un collega dimenticò di fare il giro telefonico, che serviva per captare le notizie, quando c’erano, e solo alle 21, quando composi io il numero, apprendemmo che un paio di ore prima un tale aveva chiesto un bicchiere di vino alla gestrice di un locale alla periferia della città e al suo rifiuto perché visibilmente ubriaco, uscì, salì in macchina, mise in moto e sfondò l’ingresso, investendo la donna. Enzo si arroventò, telefonò agli autisti: “Devi volare, non correre…”. Alla guida Gusmaroli, che portò me e il fotografo sul luogo. Fortunatamente chi si occupava delle indagini era un amico fraterno, che mi informò ampiamente, e subito, quando la concorrenza era ancora sul posto. Catania continuava a chiamarmi sull’auto, perché doveva fare il titolo, e io gli ripetevo quello che gli avevo già detto.

La notte delle bombe in via Palestro

Un giorno mi disse: “Ti nomino caposervizio”. E io: “Che cosa ti ho fatto di male?”. Sorrise e mi invitò al bar di sotto per bere uno “zibibo”. Era la risposta che si aspettava. Gli piaceva scherzare, provocare, stuzzicare. Quando esplose la notizia del delitto del catamarano, il direttore Lino Rizzi (Catania allora faceva l’inviato) e mi disse di scrivere subito una pagina sul fatto e di andare subito dopo ad Ancona, aggiungendo che questo sarebbe stato il delitto di cui si sarebbe parlato per tutta l’estate: la skipper Annarita Curina era stata trovata in mare uccisa da un personaggio che nel luglio dell’88 aveva noleggiato l’imbarcazione con la scusa di una gita. Stetti fuori un mese, feci indagini in Tunisia, arrivando in taxi fino alla spiaggia di Gaar El Melh, nota per essere stata ai tempi rifugio dei corsari. 

Piero Lotito

Giovanni Basso in un disegno di Lotito
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sulla vicenda Catania scrisse un libro, “I delitti dell’estate”, pubblicato dalla Utet, in cui mi dedicò un intero capitolo, in cui riferiva di aver saputo da Piero, un amico cameriere del bar di piazza Cavour, che ero partito per Ancona. Di libri ne ha scritto oltre una ventina: “Dalla mano nera a Cosa nostra”; ”Bettino Craxi, una storia italiana”; “Ustica”; “Giallo Pasolini”… Nel libro sullo scrittore, romanziere, regista, poeta, rievoca tutta la storia e si pone domande, suggerite dalle circostanze. Scrisse anche “Sono innocente”, edito da Longanesi, in cui fra l’altro ricorda la bruttissima vicenda di un giovane accusato di aver assassinato per rapina un benzinaio di piazzale Lotto e fu salvato in una delle ultime fasi del processo dal professore avvocato Giandomenico Pisapia, presentatosi in aula per affermare l’innocenza dell’accusato. Come cronista era stato curioso, puntiglioso, attento, indagatore, coraggioso. Un pilastro per “Tempo Illustrato”. Dove trovasse il tempo per scrivere quelle migliaia di pagine, compresi cinque volumi di Stria della mafia, non si riusciva a capirlo.

Carlo De Barberis
Dal giornale andava via a mezzanotte e vi rientrava alle 7; la domenica era sempre presente; il mercoledì pomeriggio conduceva una trasmissione su Antennatrè Lombardia, tivù per la quale noi della cronaca confezionavamo il telegiornale. Erano giorni entusiasmanti. Io vivevo più al giornale che a casa. Mi nutrivo più di notizie che di pane. La strage di via Palestro, il 27 luglio ’93, tenne tutta la cronaca impegnata. Io rimasi sul fatto due notti e un giorno: la mattino alle 6 aspettavamo l’arrivo del capo della polizia Parisi, e arrivò puntuale accompagnato dal questore Achille Serra e dal capo di gabinetto Paolo Scarpis, e il resto del tempo lo passai tra la questura e tutti i “trombettieri” in grado di suonarmi lo strumento. Non ho vergogna ad ammetterlo: per riposarmi un paio d’ore mi stesi sulla scrivania usando come cuscini le rubriche telefoniche. Se la cronaca la si fa con passione, questi non sono sacrifici. Quando accadeva un fatto grave e i fotografi erano tutti presi da altre cose, mi portavo appresso Antonio Mellone, bravissimo disegnatore del giornale. Antonio era un artista, ricostruiva gli ambienti con una precisione certosina. Ricostruii dopo trent’anni la rapina all’agenzia del Banco di Napoli di largo Zandonai e Antonio con la sua matita fece rivivere l’episodio solo grazie alla narrazione dei presenti ormai sparsi in altre sedi e alcuni con la memoria impallidita. Allora non eravamo giù più nella mitica sede di via Angelo Fava, ma ci eravamo trasferiti in piazza Cavour, dove nessuno di noi aveva perso lo smalto. La scacchiera aveva perso qualche pedina: Piero Lotito aveva preferito la cultura: Giorgio Guaii la scuola; Giovanni Basso la cucina. Ogni tanto Piero tornava al vecchio amore, soprattutto quando era di turno la notte; e Giorgio la domenica, quando io trottavo alla Stramilano, non come maratoneta, ma crome cronista con altra maglia. Vecchia cronaca! Quanta nostalgia.










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