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mercoledì 15 settembre 2021

Un incontro interessante a Martina

Giuseppe Bellucci
GIUSEPPE BELLUCCI,VERO ARTISTA

DELLE CAMPANE E DEGLI OROLOGI

 

Le sue opere si trovano, oltre che in

Italia, in Spagna, Argentina, Polonia,

Albania, Israele... Stimato ovunque,

ha ricevuto tanti riconoscimenti ed

elogi. Tra l’altro, è cavaliere di gran

croce dell’Ordine equestre del Santo

Sepolcro di Gerusalemme.


 

 

Franco Presicci 

Giuseppe Bellucci nel suo studio

Il suono della campana oltre a chiamare i fedeli in chiesa per le funzioni religiose, trasmette gioia, crea un’aria di festa, in molti un invito al raccoglimento. I suoi sono rintocchi suggestivi, magici.
Anche quando con ritmo cadenzato si sostituiscono all’orologio, ricordando, per esempio, che è mezzogiorno, e quindi l’ora del pranzo. Incontrare un artista che costruisce campane e rimette in sesto orologi antichi è davvero un’occasione d’oro. E io ho incontrato Giuseppe Bellucci, 59 anni, gentile, premuroso, preciso, puntuale, generoso, nel suo laboratorio di via Pisacane, a Martina Franca, in cui tiene esposti come in un museo esemplari che hanno ciascuno una storia. Giuseppe è persona aperta al dialogo e senza assumere atteggiamenti enfatici li descrive senza entrare nei particolari.

Presicci intervista Bellucci

Gli ho domandato come volesse essere definito, maestro o artista; e mi ha risposto di sentirsi artigiano, soltanto artigiano. Allora gli ho riferito che Franco Cologni, già presidente mondiale di Cartier e oggi padre a Milano della Fondazione mestieri d’arte, ha inserito l’orologiaio nel suo elenco. E se non ricordo male anche in una collana di libri, scritti da veri specialisti e pubblicati in una veste elegante. Comunque Giuseppe proviene da una dinastia di artigiani e lo afferma con orgoglio. Un suo antenato produceva chiodi. Ma, chiodi a parte, anche la lavorazione del ferro in alcuni casi è un’arte. La mia conversazione con Giuseppe, nato nello splendore della Valle d’Itria, è stata piacevole e per me anche istruttiva: è proprio vero che c’è sempre da imparare. Ho ascoltato con molta attenzione e interesse le parole semplici ed essenziali di questo lavoratore infaticabile ed entusiasta, che dopo un ottimo rodaggio da elettricista installatore ha proseguito facendo illuminazioni artistiche nelle chiese di tutto il mondo.

Altra campana, opera di Bellucci
Un giorno, disponendo saggiamente le luci nella chiesa di San Francesco, a Martina, il missionario padre Felice Garau gli ha chiesto di fare l’automazione delle campane. Volendo accontentare il sacerdote e non avendo alcuna dimestichezza con questo lavoro, si è rivolto ai maestri della ditta Trebino, di Genova, famosi dappertutto per gli orologi, in Italia e all’estero. “E passo dopo passo ho imparato il mestiere del campanaro e dell’orologiaio da torre”. In lui si è accesa una passione incontenibile. Ha sempre lavorato, e lavora, con dedizione, con fervore. Mai un passo indietro, mai un rifiuto; e ancora adesso non sta fermo un momento, esporta i suoi manufatti in Spagna, Argentina, Polonia, Kenya, Albania, Israele, Libano, Giordania…. Apprezzato, richiesto, conteso, corteggiato. Con i suoi collaboratori, costruisce strumenti sonori e contatempo di tutte le dimensioni, arricchendoli, dov’è il caso, di stemmi vescovili, fregi, scritte, date, eccetera. Gli orologi, oltre che per i Comuni, li fa anche per i templi. E non si limita a realizzare questi capolavori: tiene lezioni nelle scuole per insegnare ai ragazzi i rudimenti del mestiere, anche nella speranza che possa germogliare un amore per il settore. Tra i suoi clienti annovera anche conventi e monasteri. Compresi quelli di clausura, dove, quando entra, suona il campanello per avvertire le monache della sua presenza, provocando una corsa verso le celle. Trent’anni fa padre Ernesto Caroli, uno dei fondatori dello “Zecchino d’oro” di Bologna, gli ha finanziato la costruzione delle prime campane per l’Albania dopo la caduta del comunismo.

Bellucci, a sinistra, con padre Piccirillo

Durante un pellegrinaggio in Terra Santa ha conosciuto l’archeologo padre Michele Piccirillo, dal quale ha avuto l’incarico di architettare le luci e confezionare le campane. Giuseppe Bellucci dunque è un personaggio importante; ciononostante non si dà arie. Parla del suo lavoro con semplicità e l’interlocutore non perde una parola di quello che dice. Parla con chiarezza degli elementi che occorrono per realizzare una campana, partendo dall’argilla e dalla cera persa per arrivare al bronzo. Se avesse tempo, racconterebbe la storia della campana, le cui origini sono lontanissime e incerte. A proposito, secondo alcuni, sarebbe stato san Pio di Nola, protettore dei campanari, a stimolare nel V secolo l’introduzione della campana con il batacchio interno.

Una campana
“Per completarle, occorrono due o tre mesi. E si segue sempre la stessa tecnica. Sono cambiati solo i forni – dice – che prima erano a legna, oggi a gas”. Informando, guarda l’interlocutore negli occhi. I suoi sono vivaci, penetranti.
 
Bellucci vicino a un orologio

 

 

 

Parla veloce, accenna ai sacrifici necessari per soddisfare i committenti. E’ attirato dal suono, batte con delicatezza un oggetto piccolo e sottile sul bordo di più campane, che nel laboratorio sono ovunque, e simula un concerto, che suscita emozioni. Muove il batacchio, di ferro, di una campana sistemata su una mensola e sorride. “Noi (include anche i suoi collaboratori: n.d.a.) le facciamo e ci occupiamo dell’installazione e dell’automazione”. E gli orologi? “Eseguiamo il restauro conservativo. Ho sistemato l’orologio a torre di Galatina; ad Avetrana restaurato la vecchia macchina e collocata nel museo a scopo didattico; a Martina sulla società artigiana restaurato orologio da torre e campane; a Serracapriola, nel Foggiano, l’orologio da torre”. Ha prestato la sua opera in tantissime altre città e comuni, ma la pagina non è di gomma.

Bellucci con Papa Woitjla presentato dal card. de Giorgi
I riconoscimenti non gli sono mancati: per esempio, è cavaliere di gran croce dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Il cardinale Salvatore de Giorgi, arcivescovo di Palermo, a suo tempo, lo ha presentato a Giovanni Paolo II, congratulandosi con lui per i lavori artistici eseguiti nei luoghi sacri in varie parti del mondo.

Ha infatti messo a disposizione la sua alta professionalità per dare ampio rilievo alle preziosità architettoniche. E accenna alla Basilica del Monte Tabor, di Nazareth; alla Basilica del Santo Sepolcro, di Gerusalemme; alla chiesa della Consolata di Nairobi…, dove ha ottenuto, come sempre, risultati eccellenti.

Alcuni riconoscimenti
Insomma moltissime chiese nel mondo sono illuminate dall’arte di Giuseppe, la cui azienda ha come insegna “Bellucci Echi e Luci”. In una lettera frate Pio Dandola, del Commissariato Terra Santa, gli ha scritto: “Caro Giuseppe, con sorpresa e gioia ho ricevuto e gradito la bella foto che ti ritrae assieme al caro Padre Michele Piccirillo, che avendo provvidenzialmente scoperto le tue qualità professionali, queste gli hanno suggerito di affidarti lavori da lui sognati da tempo…”.

Bellucci e Presicci

 

 

 

 

 

 

Michele Annese e Presicci fra orologi e campane
 

 

 

 

 

E ha aggiunto… “Hai reso così luminosa e splendida la cappella francescana del Calvario proprio in occasione della Festa della Esaltazione della Santa Croce…”. Guardo alcune fotografie in cui Giuseppe Bellucci dialoga con l’arcivescovo Benigno Luigi Papa, con il cardinale Bagnasco, con l’arcivescovo d’Albania mons. Angelo Massafra, con monsignori, parroci, che attestano la sua maestria e l’efficienza degli interventi in cui si è impegnato. Giuseppe è un uomo di fede profonda; frequenta a Martina la Chiesa del Carmine, dove il professor Francesco Lenoci, suo amico, docente all’Università Cattolica di Milano, è confratello onorario dell’Arciconfraternita.

E’ stato proprio Lenoci a presentarmi questo imprenditore geniale, che è anche socio di “Umanesimo della Pietra”, la prestigiosa rivista diretta da Nico Blasi, intellettuale autentico e severo. Martina e i martinesi si distinguono sempre, in ogni campo: nell’arte, nell’imprenditoria, nell’artigianato, nelle professioni, nelle forze armate. Era martinese Guido Le Noci, titolare della famosa Galleria d’arte “Apollinaire” di Via Brera, nel capoluogo lombardo, che dette spazio a tanti artisti d’avanguardia, facendoli conoscere all’Europa; e di Martina sono parecchi giornalisti di valore. Non mi ero mai imbattuto in Giuseppe Bellucci, e neppure Michele Annese, direttore del periodico, che mi ha accompagnato in questa scoperta: calici capovolti che dondolando a volte formano un’orchestra; orologi dall’anima complicata, e l’uomo che mi è stato di fronte per oltre un’ora, sintetizzando al massimo la sua biografia illuminante. Paziente, sorridente, ospitale, che usa spesso e con convinzione la parola rispetto.









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