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mercoledì 1 settembre 2021

In via Mercadante a Martina

Franco Presicci, Martino Montanaro e Francesco Lenoci
QUANTI PROFUMI DIFFONDE

L’ANTICO PANIFICIO SAN MARTINO

 

In quel tratto di strada così

frequentato turisti e martinesi in

coda per entrare nel negozio che

da decine di anni fa pane, taralli,

focacce, friselle, dolci tipici e

panettoni. 

I clienti vengono anche da Taranto.

 

 

Franco Presicci

Per Ippocrate, il più celebre medico dell’antichità, iI pane ha origini nella mitologia. In nessun archivio esiste un documento che attesti l’anno in cui la prelibatezza abbia fatto la sua comparsa sulle mense, ricche o povere. Si conosce il tempo in cui l’uomo, cominciando a triturare il grano fra due pietre, ne ricavò una farina sia pure non raffinata. Secolari dunque i primi passi compiuti per la fattura del prezioso alimento.     La Roma dei Cesari prese dimestichezza con il pane quando ebbe contatti con la Grecia. E fiorirono i primi forni. In seguito i panificatori si modernizzarono e si associarono; e verso il XVIII secolo si orientarono verso il nuovo, che il progresso consentiva. Il pane divenne anche oggetto di riti e gesti, osservati da molti ancora oggi. Lontanissima e oscura dunque la data di nascita del pane. E antichi la passione, l’arte, il sacrificio, l’entusiasmo di chi lo prepara.

Il pane a trullo

Martino Montanaro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La giornata di MartinoMontanaro, titolare dell’Antico Panificio San Martino nella splendida, solare, ridente città di Martina Franca, comincia alle 3 del mattino. Apre il suo regno, oggi in via Mercadante, indossa il suo camice e impasta la farina, la plasma come il ceramista la creta. Mestiere d’arte, quella del panificatore, anche per le forme, a volte scultoree, che gli artigiani sanno dare a questo cibo. Martino manda nelle case anche il pane con la sagoma a trullo e addirittura il panettone. Non era ancora nato quando mio zio Dionigi, che con moglie e figli villeggiava in una casa incappucciata sul Chiancaro, poi ereditata dalla sua famiglia, mandava uno dei suoi tre ragazzi a prendere proprio il pane a trullo (che piaceva tanto anche al più piccolo, Enio, scrive la figlia Grazia su Facebook) da quel forno, che troneggiava nel punto in cui la stradina, svirgolando dalla nota e lunga Mercadante, prosegue in discesa, biforcandosi. Quando glielo consegnavano, lo zio lo odorava e ne ammirava l’aspetto. “Manca soltanto la palla sulla cuspide”, commentava. Un esemplare lo avrebbe messo in bacheca a futura memoria, potendo. Martino, ora cinquantatreenne, aveva 7 anni quando entrò nel forno la prima volta, al seguito del padre, Carlo (all’epoca commesso di fiducia dell’opificio), con l’intenzione di avviarlo al mestiere. Ma lui poteva solo fare da maestro, al ragazzino, che,, sveglio e ben disposto, quel mestiere ce l’aveva nel sangue.

Via Mercadante

Con il passar del tempo anch’io, avendo casa in via Vittorio Alfieri, ma non soltanto per questa vicinanza, comperavo il pane e le frise nell’Antico Panificio San Martino. Se stavo in campagna, cinque chilometri dal paese su via Mottola, non cambiavo l’abitudine. E durante il percorso pensavo a zio Dionigi, uomo di notevoli virtù., scomparso da tantissimo tempo, a Taranto, la sua culla. Dello storico panificio, mi sono incontrato giorni fa con il titolare, Martino Montanaro, che aveva gli zii, miei amici di una vita, proprio nel tratturo in cui passo le estati. Uno dei due era Giovanni, deceduto mesi fa, a cui mi legava un affetto solido e schietto. Adesso, in quei trulli, bianchi come il latte, è rimasto soltanto il figlio, Natuzzo, un bravissimo ragazzo, che quando parla fai quasi fatica a sentirlo. Martino è gioviale, basso, in carne, gli occhi come olive di Gaeta, loquace. Conversando con lui, mi è venuto in mente il professor Francesco Lenoci, docente all’Università Cattolica di Milano, conferenziere apprezzato in tutt’Italia. Tema: “Creazione di Valore”. Si è occupato anche del pane, parlando a Laterza, ad Altamura, a Matera... E gli ho telefonato. Aveva passato la giornata facendo fotografie a Bari, Molfetta, Acquaviva delle Fonti… e stava rientrando a Martina con Enzo Rocca, vicedirettore generale del Credito Valtellinese, a sua volta fotografo eccellente.

Nicola Giacobelli
Brioso e abbronzato, è entrato sorridendo nel laboratorio di Martino, fra grosse macchine che non saprei descrivere e un’ampia sala con un bancone e scaffali per la vendita. Rocca ha puntato l’obiettivo, mentre Lenoci bombardava Martino di domande. Sempre curioso, sempre interessato alle attività umane, al loro impiego, alla loro utilità. E’ orgoglioso, Martino, del suo mestiere. Parlerebbe a raffica del pane e dei suoi ingredienti: della farina, del lievito naturale, del sale, ma soprattutto della storia del suo forno, davanti al quale ogni giorno si mettono in fila martinesi e turisti; e del vecchio proprietario, Luca Dimarco. Andava a scuola e a bottega, lasciando poco spazio al divertimento. Consapevole dei sacrifici a cui andava incontro (alzarsi per esempio ogni mattina alle 3 non è uno scherzo e oltre a farlo, il pane, occorre anche distribuirlo) non ha mai avuto un attimo di ripensamento. Una gioia per lui preparare, oltre al pane, frise, taralli… eseguiti ispirandosi alla tradizione martinese. Chissà che cosa penserebbe zio Dionigi vedendo l’evoluzione dell’Antico Panificio San Martino o tagliando il suo pane tenendolo quasi abbracciato, con delicatezza, quasi con atteggiamento religioso.

Il pane è un alimento sacro, un dono del Signore, diceva suo zio canonico penitenziere, don Martino Calianno. Farina e fuoco, acqua e la mano, il cuore dell’uomo. Ci sono stati momenti nella storia in cui i poveri mangiavano soltanto pane senza companatico. Anche di questo parlavamo con Martino Montanaro, prima che arrivassero Francesco Lenoci ed Enzo Rocca dal loro safari fotografico. Francesco ha preso la scena ed è entrato nel ruolo di pellegrino della cultura. Ascoltarlo è sempre un piacere. Parla con naturalezza, spazia in vari argomenti. Per il pane poi ha una predilezione, gli ricorda la mamma, che lo ha educato al bello e al giusto, gli ha inculcato la fede. Francesco, tra l’altro, è fervido devoto di don Tonino Bello, di cui diffonde il messaggio di pace universale. Il pane, dice, è un re.

Martino al lavoro

E’ il primo elemento che si mette sulla tavola. Vero, Martino? “Certo che è così”, ammette questo appassionato panificatore, che ha sulla scrivania la foto che lo ritrae assieme al padre, per lui un mito, un esempio, un emblema. Stando davanti a Martino e a un suo collaboratore, non riesco a non pensare agli anni del Chiancaro, addirittura a quelli della guerra, quando i bombardamenti su Taranto ci svegliavano di soprassalto e dal piazzale di fronte al trullo guardavamo l’orizzonte che s’infiammava. Ricordi lontani, che nei vecchi come me hanno lasciato tracce che non si rimuovono. Meglio tornare a Martino, lavoratore instancabile, felice della sua opera quotidiana. Franco Cologni, già presidente mondiale di Cartier e creatore della Fondazione Mestieri d’arte, a Milano, ha sicuramente inserito nell’elenco il panificatore, accanto al vignaiolo e al tipografo. Di Martino si sono occupati giornalisti specializzati. Io do la parola a Nicola Giacobelli, saggio, versatile e intelligente, concreto, che può dire la sua sull’Antico Panificio San Martino. Abitava in via Gioberti, sotto l’arco “d’a Porte Strazzàte” e la mamma, Giuseppina, “a Fagianella”, perché di Faggiano, si alzava alle 6 di mattina per andare a comperare un chilo di pane per la famiglia e il filone per Nicola, oggi ancora un bel ragazzo di 54 anni, capelli ricci, lavoratore stakanovista. A casa lo farciva per bene e lo incartava. A mezzogiorno il ragazzo lo mangiava seduto sui blocchetti della ditta della zona industriale, dove lavorava.

Luca Dimarco
“Sono passati 40 anni – ricorda Nicola – e già l’Antico Panificio San Martino era famoso non solo in città”. Da allora l’azienda si è ampliata, ha più locali modernizzati e si avvale dell’opera di familiari e di alcuni collaboratori. Per concludere, leggo ciò che ha scritto la dolce, sensibile poetessa e giornalista Teresa Gentile: “C’è magia nell’arte della panificazione. In tempi ormai molto lontani, alle 4 del mattino a Martina si alzavano aitanti apprendisti per recarsi a lavorare a lungo la pasta lievitata in un’ampia stanza del Panificio San Martino. Cantavano, scherzavano, come amano fare i giovani. A volte gareggiavano anche nel creare con quella pasta delle forme artistiche e invitanti. Poi interveniva il mastro fornaio per richiamarli all’ordine e sollecitarli a creare friselle, taralli, fragranti biscotti, focacce con diversi ripieni, sfilatini e tant’altro… Erano tempi in cui tutti avevano come merenda nelle cartelle di cartone due fette di pane fatto in casa e due fichi secchi… Alle 7.30 noi ragazzi prima di andare a scuola, a piedi e insieme, spesso ci soffermavamo presso la vetrina a mangiar con gli occhi quelle focaccine al pomodoro… E dopo Natale o Pasqua, riuscendo a mettere da parte qualche soldino, eravamo pieni di gioia quando potevamo gustare qualcuna di quelle prelibatezze. Quella focaccina… aveva un sapore straordinario: quello della conquista, della vittoria di un’innata timidezza e un sapore di vita, genuinità e un caro ricordo di giovinezza da custodire nel cuore!”. Bel ricordo della signora del Salotto di Palazzo Recupero. Fata Teresa, dal sorriso delicato e comunicativo.


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ABBRACCIANDO QUEL CORAGGIO-DA UNA MISSIONE DI PACE IN AFGHANISTAN. TESTIMONIANZA DIRETTA DEL TEN.COL. PIER GIORGIO FARINA





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