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mercoledì 6 ottobre 2021

Ancora ricordi di San Severo

Zio Luigi

 

TERRA DEL VINO E DELLA CULTURA CON GENTE LABORIOSA E OSPITALE


Ho conosciuto la vita e la fatica dei contadini: sveglia prima dell’alba e ritorno alle 5 o alle 6 del pomeriggio.

Il mio impegno di corrispondente da quella città per “Il Corriere del Giorno” di Taranto. 

I miei rapporti epistolari con Fernando Palazzi, noto autore del vocabolario italiano.

 

 

Franco Presicci

Negli ultimi tempi del mio lungo soggiorno a San Severo, Giovanni Acquaviva, direttore de “Il Corriere del Giorno”, mi affidò la corrispondenza del giornale da quella città. Ne fui fiero. E così nel pomeriggio, dopo aver fatto i compiti e letto pagine di qualche libro, me ne andavo in giro osservando e ascoltando la gente e qualche “trombettiere”, quelli che sapevano sempre tutto. 

Sant'Agata di Puglia

Quando fu installato il primo semaforo, scrissi un articolo; e poi un altro sulla fatica d’un contadino nel raccogliere i lampascioni o le “ciambrachelle” (lumache) o nel catturare rane; e battevo strade, vicoli, slarghi, dove potevo captare una voce: “Lo sai che cosa è successo?...”. E via con la notizia. Poi tornavo a casa, scrivevo, se c’era da scrivere, mettevo i fogli nella busta con la dicitura “fuori sacco” e alle 22 andavo alla stazione ad aspettare il treno in arrivo da Milano e diretto a Taranto. Rientravo e ripassavo la lezione. Trascorrevo così le giornate. La mattina a scuola, al liceo classico “Matteo Tondi”; il pomeriggio a studiare e a fare il girovago assetato d’informazioni. Facevo una capatina anche al commissariato di polizia, dove avevo conosciuto un poliziotto, persona arguta e intransigente, gentile, ma restìo a spifferare “chicche” anche se mi mettevo in ginocchio. Tra gli amici contavo Tardìo, dipendente dell’Istituto Agrario ed esponente di spicco della Democrazia Cristiana, e Turillo Ceparano, che conquistata la maturità scientifica era indeciso nella scelta della facoltà. Frequentavo anche un mio coetaneo (non ne ricordo il nome) che non perdeva occasione per tessere le lodi di Napoleone.

Piazza di Torremaggiore
Sant'Agata

Il Corso riempiva tutti i suoi discorsi, a casa, nelle passeggiate, con le fidanzate. Un altro ancora, un po’ scontroso, che viveva per lo studio e pubblicò un articolo sulle Isole Tremiti e un altro sulle città bianche, tra cui Ostuni, paese che allo storico tedesco Gregorovius sembrò una visione. Io ero interessato alla storia di San Severo, città del vino e della cultura, con tesori architettonici e monumenti. Vi ho vissuto un periodo piacevole e ricco di iniziative.

Avevo confidenza anche con alcuni anziani: papà Nicola, che non percepiva una lira di pensione, pur avendo lavorato come un mulo, ma senza un briciolo di “marchetta”, come diceva lui; Tommaso, che, novant’anni suonati, ripeteva di essere stato in America e di poterne raccontare fatti e misfatti; e, quando lo faceva, veniva soccorso dalla fantasia. Papà Nicola lo ascoltava fumando la sua pipa con il camino in terracotta e la cannuccia di canna ricurva; e quando i ragazzini giocavano sfiorando la soglia del basso davanti al quale i due erano seduti, Tommaso fermava la narrazione e si lamentava: “Necò’, non posso continuare. ‘Sti uagnùne no so’ ‘mbaràte”.

I tetti di Sant'Agata

Arco Borrelli a Torremaggiore
La verità era un’altra: la sua memoria vacillava, quindi spesso si lacerava il canovaccio. Erano i due monumenti del quartiere, fatto di case basse e povere, con le facciate screpolate, lebbrose. A poca distanza da noi, dove gli stabili avevano già un altro aspetto, c’era il mulino Casiglio, un nome noto, non solo per lo stabilimento, ma anche per l’omonimo professore, Nino, che pubblicò parecchi libri importanti, tra cui qualcuno con l’editore Rusconi. Difficile tener chiuso il mio serbatoio; e così sfilano anche i cinema, tra cui il Marchitto, dove però non sono mai entrato.

Andavo spesso a quello che stava vicino alla villa e al convento dei Cappuccini: trasmetteva spesso film western, la mia passione, e andavo a vederli assieme all’amico e compagno di scuola Tonino Vassallo, che aveva un fratello prete. Campanozzo, che abitava a San Paolo Civitale e aveva un fratello professore di matematica con cattedra all’Istituto Magistrale, lo vedevo solo in aula. Negli anni l’ho cercato, anche sui social, ma senza trovarne traccia. Di notevole livello culturale i miei insegnanti: De Rogatis, don Giuseppe Stoico, Maggi, La Bianca, che veniva da Trinitapoli, De Gennaro, da Giovinazzo. il preside Mancini era un’ottima persona e una volta m’interrogò in greco; severo ma senza esagerazione. il custode era divertente: scherzando, rivendicava il diritto di avere la maturità “ad honorem” dopo trent’anni al liceo; e sempre scherzando, se vedeva uno studente andare in bagno fuori orario, cantilenava: “Se qualcuno ha una disfunzione diarroica, deve stare a casa”. E qualche studente timido si sentiva imbarazzato. Intorno a mio cugino Michele – un bel ragazzo, simpatico, intelligente, spassoso – fiorivano sempre belle ragazze. Una sera nella comitiva ne accolsero una scompagnata, e lui m’invitò a colmare il vuoto.

Foggia

Quando fummo in campagna, illuminata da una luna sfacciata, tutti scomparvero dietro possenti tronchi d’ulivo. Allo scoperto soltanto io e Lella - il nome della fanciulla - carina, i capelli vaporosi, freschi di parrucchiera, bassina, ingrugnita, scontrosa. Avanzai di qualche passo verso di lei per sedermi su un pezzo di tufo e rischiai di sentirla ululare come per difendersi da un tentativo di approccio; allora tuonò la mia voce: “Attenti, arriva il guardiano!...”, e tutti sbucarono come l’armata Brancaleone in fuga, senza chiedersi se l’allarme fosse vero o fasullo. Il nome del “campiere” che avevo lanciato destava paura a tutte le coppie che si isolavano, anche nei dintorni della stazione ferroviaria. Quando Michele mi tirò le orecchie per l’accaduto, risposi che avevo visto un’ombra concretizzarsi a passo spedito e volevo solo metterli all’erta. In quei giorni stavo leggendo il libro “Baroni e contadini”, di Giovanni Russo, e mi aveva colpito il capitolo “Le bandiere di San Severo”, che erano quelle delle cantine. Sulla scrivania, se si può dire tale, avevo “Cristo si è fermato ad Eboli”, regalo di mio zio Luigi, che come la moglie Donatina aveva un cuore grande quanto un bacino di carenaggio. Avevo già immagazzinato “L’uva puttanella” di Rocco Scotellaro, e “Piccolo Mondo Antico” e “Malombra” di Fogazzaro. 

Immagine di Sant'Agata di Puglia
E cercavo di racimolare i soldi per acquistare un libro su Diodoro Siculo, nei tascabili Mondadori, che avevo visto esposto all’edicola-libreria aperta in piazza, il cui titolare era un pubblicista corrispondente della Rai. Fu a San Severo che Fernando Palazzi mi mandò in omaggio la seconda edizione del suo vocabolario italiano, preceduto da una lettera sul Premio Viareggio. Credo fosse il 1955. Gli avevo scritto per chiedergli notizie sull’argomento e mi rispose che preferiva “non parlare di quel Premio, perché lui con il suo romanzo “Rosetta” non aveva avuto l’esito desiderato, nonostante fosse stato esortato a parteciparvi. Mi rivolgessi a Giovanni Titta Rosa, che sicuramente mi avrebbe esaudito. Non ho dimenticato nulla della mia permanenza a San Severo. Neppure i colori della sua campagna; e i palazzi patrizi, il Teatro Comunale - dove si esibirono fra gli altri Giacomo Rondinella e l’attore Guglielmo Inglese - la biblioteca; il corso della villa, cioè quella dello struscio, dove nascevano e morivano gli amori, il luogo degli appuntamenti serali e domenicali, che spesso approdavano al bar per poi riprendere la ronda.

Foggia
La facevo anch’io, quando non mi rintanavo in casa anche nelle sere della Festa della Madonna del Soccorso, festa grande, anzi grandissima, con la folla compatta dietro la processione, con i fuochi d’artificio che esplodevano in cielo tra mille colori, come coriandoli luminosi spruzzati da una scatola invisibile. Lo ricordo, l’omaggio devoto alla Madonna. L’aspettava con ansia anche chi non aveva il dono della fede. Mi piaceva, la gente di San Severo.
Fra i contadini avevo molti amici; e piangevo con loro quando le viti venivamo bombardate dalla grandine, che faceva saltare i progetti, soprattutto i matrimoni, affidati alla vendemmia. Era dura, la vita dei contadini: in piedi prima dell’alba e rientro alle 6 del pomeriggio. I contadini sono fatti di quercia: scassano la terra, la rivoltano, l’arano, la seminano, e quando il tempo lo permette raccolgono i frutti. Uno di loro un giorno mi disse che io ero un privilegiato. Come dargli torto? Papà Nicola, dopo aver ascoltato un torto che avevo subito, mi disse: “Tu sì’ studènte e no ssì’ pèchere; s’addevìnde pèchere ‘u lupe te mànge”. Saggezza popolare. Papà Nicola aveva disertato la scuola, ma ogni tanto mi regalava un consiglio appropriato. San Severo è rimasto nel mio cuore. Qualche volta ci sono tornato, e una di queste volte, venendo da Milano, mi fermai a Poggio Imperiale, attirato da due contadini alla ricerca di rane. (“Che fatica, non ce ne so o più”). Mi riconobbero e ne fui felice. Conoscevano zio Luigi e mi pregarono di salutarlo. Quando arrivai a casa di mia cugina Leletta, dolce e taciturna, premurosa, lei stava per mettere le “recchietèdde”, fatte apposta per me e per mia moglie, nella pentola. Mi sentii accolto come il figliol prodigo. Mi ritrovai attorno le sue stupende figlie, Donata, Anna, Mirella, Lucia, e zio Luigi, il mio mito, e rivissi un po’ il tempo perduto, ricordando anche i luoghi che avevo visitato negli anni passati a San Severo: Torremaggiore, dove stampammo il giornale che avevo confezionato assieme a un gruppo di studenti volenterosi; Sant’Agata di Puglia, culla del mio amico e collega, lo scrittore Piero Lotito; Foggia; Troia; Lucera, dove andai per conoscere il direttore della biblioteca Gifuni, su consiglio dell’amato Tommaso Fiore. 


SU "MINERVANEWS" -NOTIZIARIO (BLOK NOTES CON PENNA):

RESOCONTO(testi e video) PRESENTAZIONE ALLA MASSERIA FRANCESCA
 
DEL LIBRO: "LA BIBLIOTECA DI CRISPIANO" DI MICHELE ANNESE










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