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mercoledì 16 marzo 2022

Il giorno della morte di Montale

LA GINA, LA GOVERNANTE DEL POETA

SE NE STAVA APPARTATA PIANGENDO

 

Nella sala in cui giaceva il

corpo del Premio Nobel ’75

per la letteratura non fece

entrare i fotografi, perché era

per lei irriguardoso scattare

foto in quel momento. 

Ai funerali erano presenti

anche Giovanni Spadolini e

Sandro Pertini

 

Franco Presicci

La ricordo, la Gina, la governante di Eugenio Montale. Quando telefonavo al Premio Nobel per la letteratura ’75, rispondeva lei, con una voce dolce e rassicurante, e passava la cornetta. Il Poeta rispondeva pacatamente alle domande senza mai dare l’impressione di essere stato disturbato.

Casa Montale
Io non sapevo mai come chiamarlo; né mi veniva in mente di dargli del tu, essendo anche lui giornalista, e tra noi il tu è ricorrente, anche se l’interlocutore è sulla plancia, fatta eccezione per Giovanni Spadolini e Gaetano Afeltra. Chiamai Montale più volte, per sentire il suo parere su grandi avvenimenti. E mi limitavo a dire buongiorno, accompagnandolo con il mio cognome. Ma di Montale, oltre a leggere le sue opere, mi capitava di parlare spesso con Gigi Gherardi, che amava dipingere pretini e prelati con la cotta rossa: pretini un po’ bizzarri, che saltavano sui tavoli, sbucavano sghignazzando dai confessionali, ballavano, bevevano. Gherardi ci portava anche la nipotina, alla quale aveva letto qualche brano della biografia del Poeta. “Da grande l’aiuterò a leggere le opere”. Montale era il suo mito. E non solo il suo.
 
Giuseppefranco Bandiera

L’ultima volta che feci squillare il te

lefono del Premio Nobel fu quando ucì il discusso film su Garibaldi. In quell’occasione chiamai anche Pillitteri, cognato di Craxi, Carlo Tognoli, con i quali ero in confidenza; Raffaele Carrieri, poeta e critico d’arte tarantino, che abitava in via Borgonuovo, Giorgio Bocca, Giuseppe Francobandiera, operatore culturale, scrittore, storiografo, direttore del centro culturale Italsider di Taranto e autore di interessanti volumi e di libri di racconti. Per la cronaca, a suo none è stato dedicato un Premio anche perché “attraverso le attività del Circolo Italsider ha dato la possibilità alla cultura ‘alta’, nazionale e internazionale, di affacciarsi sulle sponde dei Due Mari” (recita così un comunicato-stampa). Ma dicevo della Gina. La conobbi personalmente la mattina del13 settembre dell’81. Piangeva sommessamente in una saletta della clinica San Pio X davanti al corpo di Montale. Se ne stava sola, adagiata su una seggiola, il capo chino, le mani giunte sul grembo. Ogni tanto guardava il Poeta e mormorava parole impercettibili. Pregava o bisbigliava momenti trascorsi accanto a lui a voce bassa, con discrezione, con passi felpati, per non distrarlo. Indugiai ad avvicinami a lei, temendo d’interrompere il suo soliloquio. Poi mi decisi, le poggiai una mano sulla spalla, le feci le condoglianze e le dissi chi ero.

Al terzo piano abitava Montale

Si mostrò sollevata, nel vedermi, dicendo che ogni volta che telefonavo Montale rispondeva e ascoltava con piacere. Poi aggiunse: “Me lo aveva lasciato in eredità la moglie”. E per 38 anni gli era stato vicino in via Bigli, al terzo piano, tenendo sempre in ordine la casa, filtrando le telefonate che arrivavano, raccomandando a chi chiamava per la prima volta di non usare titoli come maestro o senatore. Se n’è andato un mese prima di compiere 85 anni”. Dolce, fedele, gentile, la Gina. Con Lui se nera andato un padre, un amico. “I miei fiori non ci sono ancora – disse osservando una sansevieria affiancata da rose tea e da bocche di lupo e da una massa di rose rosse poco distanti – Credo di avergli dato qualcosa di più che dei semplici fiori … Mi è morto tra le braccia. Come la moglie. Ora è finita”. Donna amabile, la Gina. Poche parole, appena percettibili. Quasi inutile chiederle un ricordo degli ultimi momenti del Nobel. “Sono cose senza importanza per gli altri”. E di ricordi ne aveva tanti. Belli, brutti. Di vacanze, di viaggi, di lavoro, della sua presenza quotidiana al fianco di un personaggio così illustre, così importante, celebre. “Era un grande timido e qualcuno pensava che fosse superbo. La gente non capisce, non sa che cosa dire, sparge parole nel vuoto”. Perchè non lo conosceva, come lo conosceva Giulio Nascimbeni, del “Corriere della Sera”, il suo biografo, un suo caro amico. “Superbo, Montale?” - avrebbe detto Giulio, collega colto e disponibile - Un’assurdità”.

Piazza della Scala
La Gina parlava a tratti, mentre ogni tanto qualche lacrima rigava le sue gote. ”Era anche un giornalista, uno strano giornalista; ed era critico musicale del ‘Coorsera’”... Alle 11 cominciò il pellegrinaggio di amici, di colleghi non soltanto del quotidiano di via Solferino: Franco Di Bella, Nascimbeni, Gaetano Afeltra, Ugo Stille… I fotografi non erano ammessi. Arrivarono, ma non riuscirono a schivare Gina, abituata a fare da baluardo. Arrivò tanta gente, lettori delle sue poesie, delle sue critiche, ma rimasero oltre il cancello. Le presenze s’infoltirono a mano a mano che la notizia si diffondeva. Anche gente comune. Qualcuno si chiedeva: “Perché non i fotografi?”. E la Gina a me: “Mi sembra poco rispettoso far scattare immagini, adesso che se n’è andato per sempre… E anche parlare di lui, che io parli di lui”. Almeno lei non voleva farlo, anche se qualche varco lo apriva. “Non sarebbe piaciuto neppure, a Lui”. Un signore le domandò se si fosse provveduto a fare il calco del volto; e lei ripose: “Non lo so, chiedetelo ai nipoti. Io so che lui non avrebbe voluto”. E si ritirò in un angolo. La seguii: “In febbraio aveva avuto una brutta influenza. Aveva male a una gamba, ma in casa camminava, leggeva, vedeva la televisione, spesso mi faceva ascoltare le poesie appena terminate. Poi in agosto siamo venuti in questa clinica per alcuni esami. Ci è rimasto. Non si era ancora ripreso. Era sereno, non se l‘aspettava”. Io uscii, tenendomi lontano dai visitatori, diventati una siepe.
 
Cortile dello stabile di Montale
Piero Mandrillo
Sandro Pertini
 

Alle 13 le si avvicinò il sindaco Carlo Tognoli, poi la Gina se ne andò in via Bigli, dove aveva abitato “con il poeta più popolare dopo D’Annunzio”, commentò un professore di lettere al Liceo. (Per inciso in questa via, al numero 9 ebbe la sua sede provvisoria il Comitato Rivoluzionario delle Cinque Giornate). Nel cortile rivestito d‘edera si avvertirono i rintocchi delle campane della chiesa di San Francesco da Paola. Rintocchi che sembravano fossero per “quell’uomo straordinario e delizioso”, come lo definiva la Gina, cognome Tiossi, entrata in casa Monale nel ’44, tempi di guerra, di paura, di fame. Gina veniva da Cavriglia, provincia di Arezzo e chiamava Montale “signor Eusebio”. Lo rimproverava se aveva una macchia sul vestito, raccoglieva e sistemava i ritagli di giornali e si adoperava perché ogni cosa fosse al suo posto. Aveva una cortese autorità, e il Poeta disse di no a una “troupe” televisiva che voleva portarsi dietro cavi e fili, oltre alla telecamera. “Gina – spiegò – si licenzierebbe su due piedi di fronte a tanto scompiglio”. Raccontò anche questo, la Gina, con dolore. Ai funerali, partiti dal Comune il giorno dopo, presenti Giovanni Spadolini e Sandro Pertini, andava a capo chino. Io ripensai ad alcuni versi di Eugenio Montale: “Può darsi che sia ora/ di tirare i remi in barca per il noioso evento/ Ma perché fu sprecato tanto tempo/ quando era prevedibile il risultato?”. E Sanguineti: “Oggi con la morte di Montale si ha un po’ tutti l’impressione, credo, che sia morto l’ultimo dei poeti”. E Claudio Altarocca, che a quei tempi era un eminente, coltissimo e spiritoso, simpatico giornalista del “Giorno”, poi passato a “La Stampa”: “Ecco, una vita in punta di piedi, un modello di civiltà, di ironia, di affetto mitissimo e discreto”. Mi venivano in mente anche altri versi di Montale: “La rondine vi porta fili d’erba, non vuole che la vita passi. Rimarrà immortale”: versi di “Occasioni”. Non ho più visto né sentito la Gina. Non ho osato telefonarle dopo la scomparsa di Montale, ammesso che fosse rimasta nella casa di via Bigli, una vietta tranquilla, che svirgola da via Manzoni, senza portarsi dietro i rumori delle auto, dei tram, anche se vi arrivano attenuati. Nell’82 vi feci una capatina per scambiare due parole con la custode, ma mi rispose che preferiva tacere, perché non toccava a lei parlare di queste cose. Intuii che si negava per il rispetto che nutriva per l’autore di “Osi di seppia”, “La casa dei doganieri”. “La Bufera”. Non insistetti. Da Taranto mi telefonò Piero Mandrillo, giornalista, scrittore, docente di Lettere (insegnò anche all’Università di Wellington), avido di notizie, e gli riferii ciò che avevo vito e ascoltato. Lui da Montale era stato più volte, come da Raffaele Carrieri per interviste per il quotidiano “Corriere del Giorno”, che realizzava tutte le volte che saliva a Milano, per far visita alla figlia, Mariateresa, che stava a Monza.








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