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mercoledì 2 marzo 2022

Il mercato all’aperto di largo Augusto

PER IL POETA CARLO PORTA IL VERZIERE

ERA ANCHE UNA ”SCUOLA DI LINGUA”


Il mercato dell'antiquariato
Vi si parlavano diversi dialetti

anche perché era frequentato da

gente che veniva dai paesi vicini. 

Per tenerlo al riparo dai 

malandrini la confraternita di

Santa Croce fece erigere una

colonna con la statua di Cristo

Redentore.


Franco Presicci

Guarda chi si vede. Da quanto tempo. Sono passati due anni o più da quando hai cambiato casa. Beh, ti trovi bene, in quel quartiere che si va sviluppando a macchia d’olio, con un bel giardino in cui puoi, se vuoi, respirare ossigeno sotto gli alberi?”. “Bene, bene; e voi? Che si dice in quel condominio che abbiamo visto nascere?”.

 

Il banco del pesce
I colori del mercato  
 

 

 

 

Conversazioni che s’intrecciano ai mercati rionali all’aperto, magari mentre si è in fila alla bancarella preferita per la qualità della merce e per i prezzi. E un po’ anche per la simpatia del fruttivendolo, che pesa, infagotta e consegna canticchiando storie del suo paese come un menestrello. Indovinate da dove viene? Ma dalla Puglia; altrimenti, non direbbe “Accattàteve le cime de rèpe ca ve facìte ‘na bbèdda mangiàte e ‘a pròsema vòte me decìte grazzie”. Anche il giovanotto di colore nero che gli dà una mano slaccia parole della nostra terra, dicendosi nato a Cerignola. E’ delicato, disponibile, ti fa scegliere “pumedòre”, “scarciòppele”, “lambasciùne” e “marangiàne con un sorriso schietto. In questo mercato “en plein aire” milanese, zona Niguarda, sono più d’uno gli extracomunitari che servono il pubblico da titolari o da garzoni.

 

Il vecchietto arzillo che impugna il bastone dalla punta tenendo il pomo in alto come fosse l’asta di una bandiera, fa: “Se mi dai la roba buona ti faccio sposare la ragazza più bella del mio palazzo”. “Ho già due fidanzate”, la risposta. Io abito in una via che sta quasi al centro tra due mercati. Quando ci vado, per accompagnare mia moglie, sono attirato più dallo spettacolo che dalla merce. 

Mi soffermo soltanto davanti al pescivendolo per fotografare il pesce spada e i granchi, che quando si mettono l’uno sull’altro non capisco se lo facciano per lottare, per giocare o per altro. L’uomo che sta dietro il banco mi conosce e si mette in posa davanti ai sacchetti di cozze e vongole, che dice di Taranto, chiedendomi di mettere la foto su facebook. Frequento anche, in estate, il mercato di Martina Franca, dove una volta ho cercato di avere uno sconto per due bocce e l’ambulante, una donna, è stata dura come il ferro. “Se abbasso il prezzo ci rimetto”. Mi ha detto di no per un mese, ogni mercoledì. Poi un amico ragioniere mercanteggiò al posto mio con il marito della signora, che era assente, ed ebbe più fortuna. Pensai che l’ambulante avesse voluto fare spazio sulla bancarella. Il mercato di Martina è enorme. Occupa tutta una via e una piazza: il foro boario. Mi dispiace che non ci sia più quello che vendeva gli uccelli e i polli. Una ventina di anni fa tra galli e galline ne portai in campagna trenta e organizzai un pollaio, dove cornacchie, passeri e galli pasteggiavano insieme.

 

Mercato sul Naviglio Grande
Poi una notte arrivò la volpe e fece una strage. A Milano secoli fa c’era il Verziere, nato come giardino dell’Arcivescovado. Si trasformò in mercato con numerose tende e baracche nel 1779, lo trasferirono da piazza Fontana a largo Augusto, che era a pochi passi. In seguito passò nella vicina piazza Santo Stefano. Esponeva verdura, frutta, generi alimentari… e gli avventori vi si assiepavano, come oggi in piazzale Lagosta. Anche nella nuova sede si mischiavano tanti dialetti, una miscellanea che dava anche piacere a chi amava il vernacolo: al Verziere dunque venivano anche dai paesi vicini. Ogni tipo di persone e di comportamenti. Il Verziere era uno spettacolo tutto da godere, soprattutto da scrittori e da eventuali cantastorie, che avrebbero tratto moltissimo materiale. C’era ovviamente spazio anche per i poeti. Chi non ricorda “La Ninetta del Verziere”, opera scritta nel 1814 da Carlo Porta, durante il suo lavoro di cassiere negli Uffici del Debito Pubblico. Un’opera celebrata come un capolavoro di poesia in dialetto meneghino.
 
Mercato di frutta e verdura
Non si è persa la memoria di questo grande, che a 25 anni sposò Vincenzina Prevosti, con la quale andò ad abitare in via Montenapoleone al civico 2. Il Porta definiva il Verziere “scuola di lingua”, appunto per la varietà dei dialetti che vi circolavano. Come ricordano gli studiosi, da Raffaele Bagnoli a Carlo Castellaneta, ad Alberto Lorenzi… “Ma perché il mercato è stato spostato?”, si domandavano gli avventori. “Perché inceppava il traffico”, la risposta. E forse anche per rispetto all’immagine della sede arcivescovile. All’inizio del 900 al “Verzee” toccò Porta Vittoria, dove oggi sorgono il parco del Marinaio e la Palazzina Liberty, dove nel ‘70 recitò il grande e indimenticabile Dario Fo. Il Verziere interessò anche gli artisti, tra cui Giovanni Ambrogio Figini, che a Milano dipinse molte tele di carattere religioso, ritratti e nature morte. I mercati antichi e nuovi sono pittoreschi. C’è chi ci va per fare due passi tra quella policromia gioiosa: carote, ciliegie, arance, banane…, e per osservare i atteggiamenti, le scelte, le insofferenze, le polemiche di chi trova troppo caro o scadente un prodotto. C’è chi tenta di tirare sul prezzo; chi compera un piccolo merluzzo, due pere, due peperoni, mentre un cinico le mormora: “Signo’, hai ospiti”: “No, sono vecchia, sola e mangio quello che mi permette la mia pensione”… C’è chi va per vedere le facce, le espressioni, le sagome. Tra la folla emerge un signore alto, magro, austero, barba e baffi cespugliosi, giacca e pantaloni bianchi, panama, che cammina tra un filare di cassette, senza avvicinarvisi e poi si ferma davanti a un minuscolo carretto somigliante a quelli siciliani, posto lì per sfizio dall’ambulante con il chiosco pieno di delizie pugliesi. Ecco, questo signore, invece di farsi la sua passeggiata in Galleria se la fa al mercato all’aperto. Sembra appena uscito da uno sceneggiato televisivo.
 
Mercato in Ripa Ticinese
Così deve essere stato anche al Verziere. Che ebbe una cattiva fama, per colpa di gruppi di delinquenti che, annidati anche nei pressi di piazza Fontana, si dedicavano a furti di biciclette, moto e altro. A Milano la malandra non è mai mancata. Nel 1906, la “scopola”, combriccola abile nelle rapine e nell’uso del “martino”, coltello in gergo di malandra e anche “maresciall”. Oltre alla “scopola” allignavano la compagnia della teppa, i “locch”, la “ligera”, fatta, questa, per lo più da giovinastri che rasentavano o scivolavano nel codice penale per piccoli peccati. Li si trovava alla malfamata e squallida taverna del Bernini in via dei Guast, e dovevano vedersela con il cavalier Mazza, detto “el Dondina”, poliziotto della squadra mobile dei primi del 900. Per difendere il “Verzee” dai “tiradir de spada”, i borsaioli, e da altre categorie di malfattori, la Confraternita di Santa Croce fece erigere nella zona del Verziere, la colonna con la statua di Cristo Redentore. Il ”Verzee” non era il solo mercato del capoluogo lombardo. C’era anche quello di Porta Ticinese, caratteristico perché lambito dal Naviglio Grande e da quello Pavese (il primo arriva in darsena, tranquillo e silenzioso, il secondo da lì parte per andare a Pavia).
 
Mercato di frutta e verdura
Un tempo sulle acque del Ticinello navigavano i barconi carichi di sabbia e di marmo di Candoglia destinati alla Fabbrica del Duomo; e vi navigava anche “el barchett di Boffalora”, al quale Paolo Valera, sfoderando la sua penna mordace, ha dedicato pagine dai toni crudi. Il barchetto è anche il titolo di una commedia di Cletto Arrighi, pseudonimo di Carlo Righetti. Ogni quartiere aveva il suo mercato. Al Cordusio, per esempio; al Carrobbio; in piazza Vetra (dove avvenivano le esecuzioni); in Foro Bonaparte: in via San Maurilio, vicino a Via Torino, dove sbocca via Piatti, l’ex zona degli orafi. E non dimentichiamo la “Sciostra della Luna”, mercato di generi alimentari. Infilo nell’elenco anche la Fiera di Sinigaglia, che un tempo si svolgeva lungo la darsena e oggi in ripa di Porta ticinese. Vi si può trovare ogni sorta di mercanzia, dalle biciclette usate agli orologi parlanti, dalle stampe ai vetri dei lumi a petrolio, ai paioli, alle campanelle, ai pennini usati al tempo che fu, a forma di torre, di mano con l’indice puntato, di fascio littorio, alle puntine dei grammofoni, ai dischi di Tito Schipa. Anche questo è un punto di aggregazione e non sempre chi ci va ha in mente di acquistare. Lo attraversa da capo a fondo, guardando le bancarelle e se becca un oggetto interessante lo acquista. Spesso vi trova un amico o un conoscente, con il quale chiacchiera, magari facendo la visita insieme e insieme cercano una radio anni 40, una maschera antigas del tempo di guerra da tenere come cimelio, una vecchia macchina per scrivere, meglio se una lettera 22 della Olivetti, che magari non scrive più, ma è pur sempre una testimonianza. Il mercatino è da quelle parti fin dall’800: una bella storia.






 

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