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mercoledì 30 marzo 2022

Una sintesi della storia dell’Automobile Club

L’ ACI NACQUE A UN TAVOLO DEL SAVINI

IL FIORE ALL’OCCHIELLO DI MLANO

 

Il ristorante di Galleria

Ritratto di Gaetano Afeltra
Vittorio Emanuele accolse

Guido da Verona, Beniamino

Gigli, Mosè Bianchi,

Mascagni e tantissimi

altri vip.

Il giornalista Gaetano Afeltra,

che pur essendo nato ad 

Amalfì, adorò Milano, scrisse 

in pagine efficaci la storia del locale.

 

Franco Presicci

Milano - scrisse Gaetano Afeltra – è la più internazionale delle città italiane. “Cresce di giorno in giorno e si espande come lava, invasa da giapponesi, americani, argentini, gente di tute le parti del mondo. Uomini d’affari e semplici turisti. Tutti i programmi però hanno iscritto un pranzo o una cena al Savini, come una sorta di consacrazione. 

Il Savini 1

E’ il ristorante che straripa un po’ nella Galleria stessa, estate e inverno, secondo un certo gusto parigino…”. La visita nel capoluogo lombardo senza una fermata nel suo ristorante più famoso – ancora parole dell’esimio giornalista e scrittore amalfitano che contendeva il primato nella conoscenza della città a Guido Vergani. degno figlio di Orio, risulterebbe incompleta: sarebbe come saltare un pezzo della storia di Milano, perchè questo è il Savini, nato come Birreria Stocker, nel 1867, quasi contemporaneo della stessa Galleria Vittorio Emanuele - “Una Birreria di lusso – aggiunge Afeltra – “per la finezza e l’eleganza del servizio”, meta di incontri di cuore e di lavoro. Non solo. Ai tavoli del Savini si sono accomodati nomi famosissimi, tra cu Toscanini, la Callas, Charlie Chaplin, Totò, Lucio D’Ambra, Marco Praga, Gabriele d’Annunzio, Guido da Verona, gli artisti e il pubblico dopo lo spettacolo   alla Scala…

Il Savini 2

E la sera del giugno del 1903, tra i famosi divanetti in rosso cardinalizio e gli stupendi lampadari Bèlle Epoque, si riunirono 68 pionieri dell’auto, intenzionati a dar vita all’Automobile Club di Milano. Di cilindrate a quei tempi non se ne vedevano tante sulle strade della città: soltanto 194. Dicono gli appassionati dei numeri che i possessori erano persone con il portafoglio imbottito. Non poteva essere altrimenti, visto che il volante lo si poteva conquistare sborsando la somma di 10 mila lire, che un operaio guadagnava in 15 anni di lavoro. Tra le vetture in circolazione poche Fiat (nel 1900 soltanto 8) e più o meno lo stesso numero le Isotta Fraschini, casa produttrice sorta, per volontà si sei personaggi dell’alta società lombarda, appunto in quell’anno, in via Melzi d’Eril, intestata a un ciambellano di Maria Teresa d’Austria, statista ed esponente del Consiglio dei 60 decurioni di Milano, che in questa veste nel 1796 si presentò a Napoleone Bonaparte. Già a quell’epoca, nonostante le vie non fossero intasate come oggi, si avvertì l’esigenza di imporre un freno a chi mostrava di avere troppa fretta. 

Galleria Vittorio Emanuele
 
Così, nel 1897, venne dato ordine agli automobilisti di non superare i 12 chilometri all’ora, la velocità del trotto di un cavallo; e ai velocipedi quella delle carrozze, vietando il passaggio nella zona della cerchia dei navigli e di altre zone come Foro Bonaparte, i Bastioni di Porta Venezia, Porta Nuova. Quindici i chilometri imposti ai tranway. L’omnibus, automobile a vapore, primo veicolo popolare che, costruito dalla “Serpoller Italiana”, il 10 giugno del 1906, inaugurò la linea che dalla stazione andava all’Esposizione, aveva una velocità di 30 chilometri orari. Ben altra l’andatura delle leggendarie “600” e “500” uscite negli anni ’50: un sogno che lo stesso operaio poteva realizzare impegnando lo stipendio di un anno. Ma gli venivano in aiuto le cambiali; e se ne firmarono montagne, non soltanto per realizzare il sogno di possedere una vettura, ma anche per acquistare la radio con il grammofono e il salotto.

Il Savini 3
Con la diffusione dell’auto, i soci dell’Automobile Club di Milano si moltiplicarono arrivando negli anni ’80 ai 140 mila. Il sodalizio metteva a loro disposizione ogni assistenza legata all’uso del mezzo che aguzzava l’impegno di progettisti e costruttori. La “Prinetti & Stucchi” affidò a un diciottenne di talento, Ettore Bugatti, l’idea di una piccola vettura che venne presentata tra entusiastici consensi all’Esposizione Internazionale di Milano dell’allevamento e dello sport, svoltasi nel 1901 ai Giardini Pubblici, oggi dedicati a Indro Montanelli. E fece capolino la concorrenza: Edoardo Bianchi, già noto nel settore delle biciclette e per aver sperimentato la sua prima moto sui Bastioni di Porta Venezia presentò la sua moto a motore. A Milano erano cinque le fabbriche di automobili e altrettante le carrozzerie. La prima associazione milanese e la prima d’Italia fu nel 1897 il Club Automobilisti italiani festeggiato con una gita sociale Milano-Monza e la gara automobilistica Arona-Stresa-Arona.

Il Savini 4
Nel 1905 nacque l’Automobile Club s’Italia. La civiltà dell’auto cominciava a muovere passi da gigante, ispirando anche i poeti, come Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del Futurismo, nei versi ricchi di metafore (“Veemente dio di una razza d’acciaio/ Automobile ebbrrra di spazio, che scalpiti e frrremi d’angoscia rodendo il morso con striduli denti che mostrano la macchina come un essere vivente potentissimo con sembianze divise e mostruose…”. Motori e poesia, motori e arte, persino motori nei fumetti. Motori e prosa. L’auto ispirò anche Massimo Bontempelli, nato nel 1878, deceduto nel 1960, che scrisse “522”, racconto di una giornata, pubblicato dalla casa editrice Arnoldo Mondadori). La “522” fu un’auto della Fiat che nei primi anni ’30 riscosse moltissimi consensi, e le pagine che la celebrano si leggono con piacere, anche se al momento dell’uscita ebbe anche qualche critica. In tempi a noi più vicini (nel 2007) scorrono in due splendidi volumi dello stesso Automobile Club di Milano: “Novant’anni con la città”, a cura di Paolo Montagna, che per anni fu un bravissimo e attento capo ufficio stampa del sodalizio di corso Venezia; e “Cento anni per l’automobile” di Raffaello Barbaresi. Pagine che fanno rivivere momenti esaltanti con la rievocazione di episodi significativi della storia dell’auto : aprile 1928 il via da Milano del raid di 1550 chilometri per Stolp, nel Baltico, iniziativa sorta per solennizzare la partenza della spedizione di Alberto Nobile al Polo Nord con il dirigibile “Italia”; nel 1929 raid Milano-Budapest... Le tante immagini che illustrano i volumi, belli, eleganti, accompagnano gli appassionati a compiere un affascinante itinerario all’indietro.

Il Savini 5

 Sfogliando questi volumi, si attraversa il 1903 con la circonvallazione percorsa dall’auto Tuminelli; corso Vittorio Emanuele nel 1923 con una fila di auto che tengono ancora la sinistra (l’obbligo della destra verrà imposto giugno dell’anno successivo). E la vita dell’Automobile Club, i soci che si quadruplicano nel 1967 e viene commissionato a Max Huber il manifesto commemorativo. Tutta questa gloriosa vicenda, fatta di talenti indiscutibili, di creatività e anche di poesia, fu tenuta dunque a battesimo in un locale noto in tutto il mondo: il Savini che negli anni – ancora parole di Gaetano Afeltra, dal ‘42 redattore, caporedattore e vicedirettore de “Il Corriere della Sera”, quindi direttore de “Il Giorno”, ha conservato gli antichi aspetti del lusso tipicamente ottocentesco”. Come alla “Società del Giardino”, non si poteva e non si può superare la soglia senza avere addosso la giacca e la cravatta (con molta gentilezza ti viene chiesto di attendere un attimo che un addetto provveda a integrare l’abito). Lo sapevano Guido da Verona, Mascagni, Gigli, Ruggeri, Mosè Bianchi, Bovio... e lo sanno i frequentatori dei giorni nostri, Il poeta e critico d’arte Raffaele Carrieri scrisse che entrò una sola volta al Savini, per incontrare Guido da Verona. “Ero un povero poeta del Sud (nato a Taranto) e volevo conoscere uno scrittore famoso”. Doveva essere dopo il 1930. Una sera al Savini andai con la “troupe” di “Antennatrè Lombardia” per una serata culturale all’esterno: all’epoca la redazione de “Il Giorno” curava il telegiornale della televisione di Legnano, che aveva personalità del livello morale, culturale e professionale del grande Enzo Tortora. In un paio di occasioni al Savini intervistai il presidente Sandro Pertini, arrivato a Milano in una visita privata. Un locale che è ancora oggi un fiore all’occhiello della città, un nome di alto prestigio, grazie a Virgilio Savini, originario della Valcuvia, che trasformò la Birreria Stocker nel ristorante Savini. Gaetano Afeltra, che aveva una memoria inossidabile, li ricordava tutti i vip che andavano al Savini per gustare i cibi del locale: erano grandi capitani d’industria, eccellenze del palcoscenico, della tavolozza, dell’arte, della letteratura e naturalmente dell’automobile.








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