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mercoledì 15 giugno 2022

La Sagra di San Simone quartiere di Crispiano

Massimo Biagi con Presicci
UNA GRAN BELLA SERATA IN ONORE

DI SUA MAESTA’ IL PEPERONCINO


Rimasta ferma per il coprifuoco imposto

dal Covid, si spera che rinasca con più

vigore e non si lasci accalappiare dalla

pigrizia. Gli adoratori di questo tizzone

taumaturgico e apotropaico rimarrebbero

delusi e amareggiati. Forza, all’opera.


 

 

Franco Presicci

Non avevo mai avuto dimestichezza con diavoli e diavoletti prima di essere invitato da Alfredo De Lucreziis degli “Amici da sempre”, gruppo che amalgama anche mogli e figli, nuore e generi e nipoti alla Sagra del peperoncino piccante, a San Simone, appendice di Crispiano.

A destra De Lucreziis
Persone che mi invitavano a pranzo e a cena ne spolveravano un pizzico sulla pasta con il sugo e sui legumi e su altro; e chi ha più passione per questo tizzone ne usavano più del dovuto. Una volta, ospite in casa di un’affascinante signora lucana, mi si infiammò la bocca, e fui sul punto di chiamare i pompieri. Roba da non credere. Sentii fare quel nome la prima volta quando ero un marmocchio e mio nonno mi disse, con una punta di orgoglio, che ero come ‘nu diavulicchie asquande”. Gli chiesi che cosa volesse dire e mi dette una rapida e vaga spiegazione, per cui, data anche l’età, non ci capii molto. E quando quella sera di settembre di qualche anno fa, accolto la prima volta l’invito alla sagra del mito, mi accodai con Michele Annese alla fila che dondolava come i confratelli (le “perdune”) alla Settimana Santa a Taranto, allargai la mia conoscenza.

I peperoncini nel mondo

Vidi siepi di gente davanti ai vari “stand”: chi prendeva il gelato, chi le friselle, chi le polpette, chi la pasta con i fagioli cucinate dallo “chef” Simone Rodio… tutto cosparso di peperoncino. Poco dopo si unì a noi il dottor Michele D’Addario di Oria e ci sedemmo ad un tavolo appartato, dove una squisita signora ultraottantenne, con capelli bianchi con striature di grigio, esile e bassina e con un sorriso dolce, ci offrì spaghetti al ragù spalmati di una dose accettabile di peperoncino. Piccante naturalmente. E giacchè c’ero, mi accinsi a inondare di domande D’Addario, che al suo paese era presidente della sede locale dell’Accademia della famosa spezie intitolata Club Habanero, autrice di una manifestazione molto seguita che aveva in programma l’elezione di miss peperoncino. Il medico ricevette una telefonata e si appartò.

Tavolozza begetale di Biagi

La mia attenzione fu attratta da un gruppetto di quattro o cinque signori, poco distante da noi, fra cui spiccava un tale che somigliava allo Smilzo di Giovannino Guareschi. Teneva banco argomentando sul peperoncino: “A quanto pare sì, il peperoncino ha qualità afrodisiache e ha una serie di poteri terapeutici: aiuta la digestione, è vasodilatatore: “Fa guerra al colesterolo e alla depressione... Si usa anche nella cosmesi”. E ancora: “Nei tempi antichi interveniva nella preparazione di filtri d’amore e molti superstiziosi, per la sua forma e per il suo colore simili al corno napoletano, gli attribuiscono anche capacità apotropaiche. Nessuno ha riscosso nel mondo il successo che è toccato a questa spezie. Se ne conoscono 1600 varietà”. Si avviarono verso il cuore ondeggiante della sagra e le sue parole mi giunsero un po’ sfumate: “Il peperoncino ha origini nel Messico meridionale e nel Sud America. In Europa arrivò dopo il ritorno da un viaggio di Cristoforo Colombo verso il 1493. E da allora ha furoreggiato”. Improvvisamente lo Smilzo a voce alta disse: “Sua maestà”; e, curioso per natura e per mestiere cercai tra i più vicini a noi chi per qualche ragione fosse stato insignito di quel titolo; invece appresi che quell’onore veniva attribuito proprio a quella specie di virgola rossa che dominava la festa. E a giudicare dalla folla che fluttuava, sfilacciandosi nella piazza con la chiesa dedicata all’Arcangelo Michele, l’espressione non era un’iperbole. 

Giorgio Di Presa
Il peperoncino ha origini lontanissime, aveva detto il saputo del gruppo. Secondo alcuni studi era conosciuto e usato già 9 mila anni fa. In tempi più vicini ai nostri, è comparso, e compare, anche sulle tavole delle personalità più rinomate. Scrittori e poeti in lingua e in dialetto lo hanno reso protagonista delle loro opere. Tra questi, Cesare Pascarella. Gabriele D’Annunzio lo definì: “Rosso ardente, diavoletto folle”. Anche attori del livello di Aldo Fabrizi, che amava gli spaghetti con aglio, olio e peperoncino, vera prelibatezza della cucina rustica; e Ugo Tognazzi, di cui vengono ancora celebrate le penne infuriate. Tra gli amanti di questo folletto adorato troviamo Greta Garbo, Anna Magnani, Gregory Peck, Tom Cruise, Mao Tsé-tung, Bertrand Russell, autore della Storia della filosofia occidentale e tante altre opere. E non mancano i superstiziosi, che per la sua forma e per il suo colore simili a quella del corno, lo considerano apotropaico, cioè capace di tenere a debita distanza gli influssi malefici. A Milano Incontrai un giocatore del lotto che ne aveva un cassetto pieno.

Campionato di oria
Mi venne voglia di saperne un tantino di più. E allora D’Addario mi dette appuntamento nel suo studio a Oria e mi regalò una bellissima rivista in carta patinata diretta da Enzo Monaco, giornalista, gastronomo di Diamante, specialista autorevole, tenace sostenitore del “capsicum”, ideatore del “Peperoncino Festival” che da anni si svolge ai primi di settembre nella città calabrese, il cui programma tra l’altro comprende convegni medici, mostre di pittura e di satira… Monaco ha anche scritto diversi libri su questo regno e nel 1992 ha creato l’Accademia nazionale del Peperoncino, il cui libro d’oro è ricco anche di glorie del palcoscenico, tra cui, se non sbaglio, Giorgio Albertazzi. Del peperoncino Monaco la storia in tutte le sue pieghe, e anche le leggende.

Il professor Massimo Biagi

A San Simone mi presentarono il professor Massimo Biagi dell’Università di Pisa e grande esperto della spezie. Nel suo “stand” con l’insegna “Peperoncino nel mondo” aveva allestito un tavolo lungo e largo più di quello da ping-pong, che sembrava una tavolozza per i tanti piatti colmi di peperoncini di ogni tipo. Su una mensola troneggiava una pianta pensata e coltivata da lui stesso. In un’intervista gli chiesi il nome del primo della classe: “Qualche anno fa era l’habanero, che si produce nello Yucatan, poi questo è stato defenestrato e il vincitore ha fatto dignitosamente la stessa fine. Da non dimenticate lo Scotch Bennet. Sono uno più piccante dell’altro e fanno a gara a chi meriti il posto più alto nella classifica”. Sono tante le domande che l’uomo della strada invaghito del peperoncino farebbe a uno che abbia esplorato tutti i segreti di questo “taumaturgo” ardente, che domina le cucine di tutto il mondo. In Italia sua maestà regna in Puglia, Basilicata, Calabria, Molise. A proposito al campionato del peperoncino di Diamante (provincia di Cosenza) un anno vinse un concorrente che aveva ingoiato 750 grammi e l’anno dopo uno che ne aveva mandato giù un chilo, accompagnandolo con pezzettini di pane. Espressi la mia perplessità al professor Biagi, ma il docente fu fagocitato da un gruppo di curiosi e poi dimenticò di darmi la risposta.

Lo stand delle fecazzèdde

Davanti allo “stand” di De Lucretiis, “Fecazzèdde”, addobbato con cornetti rosso-cremisi in ogni angolo, grappoli, corolle a forma di cercine sulla testa delle assistenti, belle e gentili, pronte a soddisfare le domande più strane, più esigenti, io e Michele Annese ci soffermammo a commentare la realizzazione di quella iniziativa, poi fermata dalla clausura antivirus. Mi piacciono le imprese che attirano tantissima gente, proveniente anche dai paesi vicini e meno. Da Oria arriva anche il cestaio, che intreccia i suoi vimini con abilità e arte; da altri centri artigiani che come il primo si esibiscono, calamitando l’interesse del pubblico, che girella sorbendo un grosso gelato o gustando una mozzarella spalmati di peperoncino. Dosato saggiamente. Altrimenti, suggeriva un esperto seduto accanto a me e ad Annese sul muretto del corso che dovrebbe essere dedicato a Sua Maestà, non c’è bisogno d’invocare i pompieri: basta un bicchiere di vino o, meglio, tanta mollica d pane. Aspetto con ansia i primi di settembre, quando va in scena la Sagra del Peperoncino a San Simone. Non ne ho mai perso un’edizione. Anche perché ogni volta vi trovo amici con i quali ho condiviso serate in allegria, in una masseria o in una casa privata. I crispianesi sono persone ospitali e amano lo stare insieme. Ricordo tante manifestazioni organizzate da Michele Annese alla Monti del Duca, dove venne presentato li libro “La Puglia il tuo cuore”, di Giuseppe Giacovazzo, o alla Pilano, che una sera ebbe come ospiti musicisti dell’Est.

Insegna della Sagra
Mi auguro che quest’anno la Sagra abbia anche una bancarella cosparsa di libri sul peperoncino: non ne ho mai vista una, qui, a San Simone. Anzi un anno una libreria ambulante si acquartierò in un angolo semibuio, con libri di ogni genere, ma nemmeno uno sulla spezie che mette il fuoco in bocca. E spero che con le sue “performance” intervenga ancora Giorgio Di Presa, un signore simpaticissimo e dotato di laurea, “verve” brillante e coinvolgente, che a Martina Franca ha un negozio di erboristeria su via Taranto. La Sagra del Peperoncino deve continuare a vivere con vigore; non deve lasciarsi fiaccare dagli arresti domiciliari imposti a suo tempo per colpa del cecchino che continua a dare colpi di coda. Quel bastardo ha bloccato tante iniziative memorabili, come appunto quella di Crispiano, una città che è stata sempre in movimento. Si pensi alle mille attività della biblioteca “C. Natale”, che con il suo valente gruppo di collaboratori sensibilizzava i cittadini alla lettura (ricordo i “I libri in condominio”) e allo studio; e convocava scrittori importanti a parlare dei loro libri e della loro biografia (ricordo la serata per Alberto Bevilacqua). La Sagra di San Simone deve rinascere più bella, più attraente, data l’intelligenza e lo spirito degli “Amici da sempre”. Ho tantissimi ricordi legati alla storia della manifestazione di San Simone, che un anno si tinse di giallo. Mentre su un palcoscenico improvvisato bravissime parrucchiere acconciavano i capelli di seducenti fanciulle, ispirandosi a ‘”u puperùsse asquande”, dietro le quinte qualcuno s’impossessò delle ghirlande di peperoncino, che dovevano “vestire” quelle occasionali vestali per un corteo. Non c’era più neppure un diavoletto caduto per caso dall’architettura” durante il trafugamento. Si cercò di tenere il segreto sul fattaccio, per non disturbare la serata, ma la voce si sparse, creando indignazione fra il pubblico, numeroso e in attesa della sfilata. Che si svolse senza cornetti rossi tra i capelli delle modelle.








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