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mercoledì 1 giugno 2022

La strada ferrata da Taranto a Martina

DA QUALCHE PARTE VIAGGIA ANCORA

LA VECCHIA, AFFASCINANTE VAPORIERA

 

Vaporiera collezione Antonio De Florio

 

La si ritrova nei versi di

Giosuè Carducci e in quelli di

Francesco Guccini. 

E’ un vero gioiello di

architettura.

Il suo fumaiolo emette dense

nuvole di fumo, che si

gonfiano, si allungano, si

schiariscono, si disperdono,

mentre la macchina corre,

corre fischiando.


 

Franco Presicci

“…tra i rami stillanti di pioggia/ sbadigliando la luce sul fango/ flebile, acuta, stridente fischia/ la vaporiera da presso. Plumbeo/ il cielo e il mattino d’autunno…”. Sono alcuni versi colti nell’ode “Alla stazione…”, di Giosuè Carducci. Non una celebrazione “d’a Ciucculatère”, che sbuffava come la macchinetta del caffè e mettendosi in moto ansimando, emetteva un “ciuf ciuf” gioioso: dopo che il macchinista, con una pala, aveva rifornito il focolare di carbone. “Ciuf ciuf”, prima stazione, Nasisi, ai margini dei Tamburi (un quartiere oggi tormentato), sulle rotaie che tagliano la strada per Martina. Allo scalo di Taranto arrivavo mezz’ora prima al binario morto, che sta a ridosso del muro che dà sul piazzale, su cui si fermano gli autobus e una volta anche i tram; sostavo due minuti sul terrazzino della carrozza, uno sguardo ai treni in sosta, al ponte che sovrasta la strada ferrata… e poi dentro, ad occupare un posto rimasto libero in terza classe, l’unica. Dopo pochi minuti, la partenza: Statte, Crispiano, Madonna del Pozzo, San Paolo, Martina Franca, dove la corsa si concludeva. Un tragitto che conoscevo a memoria, tante erano le volte che passavo sui sedili di legno “d’a Ciucculatère”.

La piattaforma girevole

La vaporiera (foto di G. Lepore)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A Martina, città che da sempre appartiene al mio cuore, la vaporiera, staccata dai vagoni, raggiungeva lo scambio, e da lì a marcia indietro la piattaforma girevole, che le consentiva di invertire il senso di marcia. Il macchinista, il berretto d’ordinanza in testa, azionava una leva, poi un’altra, faceva movimenti rituali, dava un’occhiata al “tender”, mentre arrivava un altro ferroviere, il volto annerito e uno straccio in pugno. 

Un primo fischio, poi un altro, prolungato, e la vaporiera all’orario stabilito riprendeva la corsa, prima piano, poi veloce, ruggendo, verso la città dei due mari e dei giardini delle cozze. Chissà quante volte Il macchinista fece lo stesso tratto negli anni. Sapeva tutto della vaporiera; la considerava una cosa sua e la curava con scrupolo, quasi con amore. Era un mito, una conquista, un vanto del progresso, un gioiello di architettura. Forse non l’avrebbe mai lasciata per condurre un esemplare di nuova generazione.

Vaporiera di Eugenio Messia

Nella stazione di Martina Franca, seduto sulla panchina in ferro, indugiai, un giorno del dopoguerra, ad osservare la linea della vaporiera, la cabina di guida, il forno, lo stantuffo, il “tender”… Il capo stazione sbucò dal suo ufficio, fischiò la partenza e la locomotiva si mosse. Il fumaiolo, una grossa pipa, emise una lunga scia di fumo, prima densa e nera, poi più chiara, bianca e rarefatta. Ancora stronfiando, la macchina cominciò ad accelerare, seguita dal mio sguardo finchè non scomparve. Amo la “Ciucculatère”. Quando ero a bordo, dal finestrino vedevo passare, fulminei, gli alberi, le case, i casolari, le vigne e magari un contadino al lavoro: un paesaggio che vive ancora dentro di me; e pensavo a mio nonno, che mi aspettava in campagna riparandosi dal sole sotto un arco di bouganville; mentre oggi, vedendo quei treni su facebook, vado ai versi di Francesco Guccini (“… e sul binario stava la locomotiva/ la macchina pulsante sembrava fosse cosa viva/ sembrava un giovane puledro che appena liberato il freno/ mordesse la rotaia con muscoli d’acciaio…”).

Salento Express

L’avevo persa di vista, la vaporiera. La potevo ammirare, in anni più recenti, una volta all’anno, quando rimpatriavo, nella stazione successiva a quella di Bari (credo Mungivacca, cinque minuti dal capoluogo), bella, solenne, superba, affascinante, gloriosa: un monumento, testimonianza di un’epoca lontana, custodita nella memoria, carica di corse e di storia. Dopo anni, mi trovai fra le mani una foto con l’immagine di una vaporiera arrugginita. “Dio mio” – pensai - è un rottame, tenuta lì come un oggetto inservibile, ingombrante. No, non può essere quella che mi emozionava mentre con un treno tirato da uno di quei locomotori che l’avevano sostituita attraversavo, per andare alla città dei trulli, Rutigliano, Noci, Alberobello, Locorotondo, sempre affollato, d’inverno, di scolari e studenti. Un giorno di agosto seppi che gli amici dell’Asap di Bari stavano organizzando un convoglio, “Salento Express”, per i turisti, che durante il tragitto dal capoluogo a Martina sarebbero stati deliziati dal suono di trombe e sassofoni e avrebbero gustato prelibatezze del nostro territorio. Andai presto alla stazione, sognando la vaporiera in testa al convoglio. Suonò il campanello che avverte l’arrivo dei treni e tornai nel mondo reale: “’a Ciucculatère” non c’era: al suo posto un locomotore anni 50 o 60.

L'orchestra del Salento torna a casa di G. Lepore

I viaggiatori prima di scendere indugiavano sul terrazzino e si guardavano intorno; l’orchestra sceglieva la postazione quasi vicino all’uscita, a un passo dalle vecchie carrozze non so più da quanto parcheggiate sotto il marciapiede, e riprendeva a suonare.

Adesso di vaporiere, magari con la scritta Ernesto Breda sulla fronte, ne vedo tante, su facebook, in foto e in video. I viaggiatori prima di scendere indugiavano sul terrazzino e si guardavano intorno; l’orchestra sceglieva la postazione quasi vicino all’uscita, a un passo dalle vecchie carrozze non so più da quanto parcheggiate sotto il marciapiede, e riprendeva a suonare.

 
Adesso di vaporiere, magari con la scritta Ernesto Breda sulla fronte, ne vedo tante, su facebook, in foto e in video.
 
Orchestra sul treno 

Listenersalento express arriva 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ogni tanto, ritorno in quella stazione, per vedere i treni che arrivano da Bari, la littorina da Lecce o vanno verso quelle città. Il nome littorina partorito da un giornalista fantasioso, richiama un periodo non felice della nostra storia; tuttavia le sono affezionato, tanto che, durante uno dei miei viaggi a Brindisi, a bordo di questa freccia, proposi e ottenni di stare vicino al conducente. Che bello! La macchina divorava le rotaie, sostando a tutte e stazioni. Andavo a Brindisi una volta la settimana per confezionare “Il Meridionale”, settimanale dell’avvocato Margherita, assieme al giornalista professionista De Luca, che aveva lavorato al “Corriere Lombardo” di Milano e si divideva tra “Il Corriere del Giorno” e questo giornale. Ricordo la figura snella e alta di uno dei collaboratori più presenti, che ogni tanto veniva da Bari: si chiamava, se non sbaglio, Cacciapuoti. Scriveva molto bene, ma aveva un carattere ruvido e faceva molta fatica ad abbozzare un sorriso; mentre De Luca era come un nonno saggio e paziente. Avevo vent’anni e il giornalismo nel sangue. Parlando di Littorina, non intendo mettere da parte la vaporiera, per carità. Mi sono chiesto tante volte se il convoglio che viaggiò per primo sulla prima rete ferroviaria nella nostra penisola, la Napoli-Portici, voluta da Ferdinando II di Borbone e solennizzata il 3 ottobre 1839, alle ore 10, era tirato da una vaporiera Bayard. Ho poi letto che era una Longridge, di fabbricazione inglese, battezzata con il nome “Vesuvio”. In una carrozza, quel giorno di festa - informa Raffaele De Cesare, nel suo libro “La fine di un regno”, viaggiava il sovrano e nell’ultima era acquartierata la banda della guardia reale. La locomotiva a vapore o vaporiera è detta “Ciucculatère” nel mio dialetto, come gli altri ricco di suoni e di onomatopee, ma non so se questo appellativo le faccia onore. Mi sa tanto che sia anche un po’ riduttivo. Ma, nomignolo a parte, la vaporiera rimane un prodigio, inventato agli albori del XIX secolo, da George Richard Stephenson e altri. Non ho nostalgia dei miei anni giovanili. Ma della vaporiera sì. Tra l’altro stimola tanti ricordi. Ho ancora in mente scene e scenate accadute tra i suoi sedili. C’era ancora la guerra con le atrocità e i disastri e una sera tra la folla diretta a Martina sul treno zeppo come una scatola di sardine tra un martinese e un tarantino scoppiò una lite. Ebbi paura che venissero alle mani, soprattutto quando il secondo disse al primo: “Hai ancora in mano la zappa!”. Una espressione squallida: lavorare la terra non è una vergogna. Anzi.

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