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mercoledì 27 luglio 2022

L’amore e il segretario galante

 

Taranto- via D'Aquino
SIGNORIMA, PERMETTE?

POTREI ACCOMPAGNARLA?


I più arditi osavano fermare

La ragazza per strada, altri

scrivevano lettere d’amore

o mandavano ambasciate

con amici fidati.

 

 

Franco Presicci

Quando avevo 14 o 15 anni, se un giovanotto era cotto d’amore per una ragazza, l’avvicinava per strada e si dichiarava. Oppure le scriveva una lettera o le mandava un’ambasciata tramite un amico comune. Ma non tutti sapevano combinare frasi dolci ed efficaci.

Taranto - Il Galeso
Allora ricorrevano al “Segretario Galante”, un libro di lettere melense, che fece la fortuna dell’editore. Erano in tanti ad averne una copia, dove trovavano quasi sempre almeno l’ispirazione. Devo confessare che qualche missiva l’ho scritta anch’io, per soddisfare la richiesta di un conoscente o di un lontano parente, che di mestiere faceva il pescatore. Una volta fatta la conquista, era difficile per la fanciulla sottrarsi alla vigilanza della madre: allora si parlavano lei dal balcone e lui dal marciapiede di fronte. La “guardia” aveva già preso segretamente informazioni sul giovanotto, quindi era quasi tranquilla, se le erano state date buone notizie.

Conoscevo una mamma che, per evitare pericoli (un bacio, un abbraccio) scortava la figlia fino all’incontro, all’insaputa del marito. Se lo spasimante aveva il posto fisso ed era stato ammesso in casa, doveva passare la serata a fare lunghe partite a carte con il papà e limitarsi a guardare a lei con occhi da pesce morto specie quando il padre aveva messo a segno un “pisellino” (sette di denaro) o realizzato una scolpa e quindi esultava, distraendosi. Andavano proprio così le cose a quell’epoca, e se le racconti a un ragazzo di oggi, puoi sentirti prendere: “Allora, tu hai conosciuto personalmente Giulio Cesare?”.

Milano - Il Naviglio grande
A Milano, ai primi del ‘900, gli amori fiorivano sotto i Portici, in Galleria, sui Navigli…Non c’era bisogno di appartarsi in luoghi meno frequentati e poco illuminati. C’era più disinvoltura. Certo lui doveva corteggiare lei con un certo garbo, creare un’atmosfera romantica credibile, stuzzicando la vanità di lei o aiutare la sua disponibilità. Se i passanti notavano la scena, tiravano dritto senza commentare. Il corteggiamento poteva avvenire di giorno e di sera, all’uscita dal teatro, quando piano piano un gruppetto di amiche si dirigeva verso casa.

Signorina, permette?”, chiedeva lui e lei, che, se gradiva, si staccava dal gruppetto e ascoltava, se l’approccio la interessava. ”Mi lasci pensare, sa, è la prima volta e sono un tantino imbarazzata…”; “Adesso, come vede, sono in compagnia, un’altra volta”. Intanto circolava la ronda del piacere: le signore peripatetiche, tra via Santa Radegonda e piazza Diaz, di fianco al Duomo, dove giganteggia la Terrazza Martini.

Le notti milanesi erano affollate. Il Carini, sotto i Portici Meridionali, abbassava la saracinesca alle 5 del mattino, dopo aver servito l’ultimo cognac alla giovane ambulante ormai stanca e mezza assonnata; o un cappuccino alla mezzana che, tazzina alle labbra, sorvegliava la ”protetta” posteggiata in una bicocca rischiarata da un becco a gas. “Gente, andiamo a nanna”, esortava il titolare, accingendosi a spegnere le luci. 

Il Duomo a Milano
Qualche ora dopo, dietro al Duomo, con il suo banco compariva “quell del cafè del gnoeucc” o del ginocchio, bevanda ottenuta con i fondi di altra bevanda: acqua calda tinta di nero, potabile solo - a sentir il poeta meneghino degli anni ’20 Giorgio Bolza - se vi si spruzzava un goccino di grappa. “I cafè d’i strascioni, de i pitocch… il cafè de la nott; dei locch e del brumista ghe van a bev… “, del vecchietto che andava ad appostarsi sul sagrato della cattedrale per stendere la mano alla gente caritatevole e del manovale diretto al cantiere aperto sulla strada: tutti di bocca buona. Due sorsi, cinqu ghej e via, stropicciandosi ancora gli occhi. I signori, in frac e gibus, che avevano assistito all’esecuzione di un’ opera alla Scala o a una prima al teatro, accompagnati da signore in abiti eleganti con ricami e guarnizioni di pizzi, andavano a sedersi ai tavoli del Savini, quasi gemello della Galleria, data di nascita 1867 con il nome di Birreria Stocker, o a quelli del Biffi; e anche lì poteva fiorire un amore. Verso le due si decidevano di tornare a casa; mentre i “viveur” più incalliti preferivano fare ancora un giro per la città, sfiorando gli spazzini e le passeggiatrici.. E poteva capitare che una di queste signore, intravedendo le ombre di quattro o cinque “pollè” della squadra dei buoni costumi, per evitare la cella, si afferrasse al braccio del nottivago, contrabbandandolo come fidanzato.

La mappa del cosiddetto vizio era ben nutrita. Tra le altre contrade, la Vetraschi, ora scomparsa, dove le mestieranti se ne stavano accovacciate sugli scalini di uno stabile o al centro del vicolaccio su una sedia sbilenca. Molti i barboni. Dormivano addirittura su una panchina di piazza Della Scala, sotto il monumento a Leonardo (eretto nel 1872, quando erano stati definitivamente chiusi i caffè e gli altri locali attorno al tempio della lirica; o più in là, in altre zone di Milano. Le notti milanesi, rese meno buie dal “pizzalamped”, erano frequentate anche da brutti ceffi: cravattari, lenoni, ladri, sempre pronti ad architettare mascalzonate, rendendo insicuri certi luoghi di ritrovo. Allignavano alla stazione Centrale, in corso Garibaldi, a Porta Genova, al Parco Lambro, nella Galleria del Transatlantlco della Centrale, così chiamata perchè’ fino a una cinquantina di anni fa era dominata da una enorme riproduzione della “Michelangelo”, una delle regine del mare della Società Italia di Navigazione.

La Galleria di Milano
I “baloss” bighellonavano in un’altra Galleria, quella delle carrozze, sul piano stradale. A quei tempi chi doveva prendere il treno si faceva portare dal cocchiere. I loschi figuri non perdevano l’occasione per far cerchio attorno alle signore, corteggiandole. Le donne erano belle e contegnose. Non lasciavano trasparire il desiderio di essere ammirate e aspiravano a contare di più nella società: l’emancipazione femminile aveva fatto qualche passo avanti, ma la libertà completa era di là da venire. Per gli innamorati la vita non era tanto facile. Papà e mamma, se per esempio, per impegni improvvisi erano costretti a lasciare momentaneamente l’abitazione, affidavano la vigilanza dei colombi al fratellino. E il fidanzato fremeva, anche perché alle passeggiate domenicali doveva sorbirsi la presenza pressante dei futuri suoceri, che imponevano l’itinerario, di solito i Giardini Pubblici, oggi dedicati a Indro Montanelli, o le gite fuori porta. L’andazzo cambiò negli anni 30, quando i “vecchi” cominciarono a capire che era meglio latitare. Ma non rinunciarono - racconta Alberto Lorenzi - ne “I milanesi, le donne, l’amore” – ad imporsi nel caso in cui non condividessero l’unione, per la posizione economica di lui, il livello della famiglia di provenienza, il carattere… Allora ai ragazzi non rimaneva che la fuga in carrozza.

Come si vede, tra Nord e Sud sotto questo aspetto non c’erano grandi differenze.

Taranto, via Garibaldi
Durante la mia adolescenza conoscevo una signora che veniva dal… contado. Aveva una figlia, sulla quale esercitava un controllo quasi paranoico. Guai a dedicarle uno sguardo, sia pure ingenuo, più del dovuto. Scattava come un suricato, strattonava la figlia e lanciava all’uomo un’occhiata feroce. Passò il tempo e lei si accompagnò con un bravo giovane; questi dovette assentarsi per qualche mese e l’affidò ad un caro amico, che lo sostituì non solo nell’incarico ricevuto, che poi passò ad un altro ancora. Di un’altra ragazza, tutta casa e chiesa, mai vista assieme ad un uomo, improvvisamente si seppe che era rimasta impollinata. Cose che succedevano, nonostante i tempi richiedessero rigore e pretendessero che le fanciulle arrivassero all’altare pure come alla nascita, nella convinzione che la paglia vicino al fuoco non può stare.

Oggi la donna è giustamente libera di scegliere se concedersi o meno; e se lo fa nessuno deve metterci il naso. La vita è sua e sta a lei fare e non fare. Così mi diceva un vecchio amico che come me non aveva e non ha nostalgia per quei tempi. I treni arrivavano in ritardo anche ieri e gli uomini diventavano imperatori anche ai tempi di papa Galeazzo, il prete del Leccese furbo come la volpe: una volta vendette a un contadino un asino che incespicava ad ogni passo, e quando il contadino andò a protestare papa Galeazzo gli fece dei discorsi così contorti che il poveretto preferì tenersi l’asino, pur di stare a debita distanza da quel personaggio, che ne sapeva una più del diavolo, a dispetto della tonaca.



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