Taranto- via D'Aquino |
POTREI ACCOMPAGNARLA?
I
più arditi osavano fermare
La ragazza per strada, altri
scrivevano lettere d’amore
o mandavano ambasciate
con amici fidati.
Franco Presicci
Quando avevo 14 o 15 anni, se un giovanotto era cotto d’amore per una ragazza, l’avvicinava per strada e si dichiarava. Oppure le scriveva una lettera o le mandava un’ambasciata tramite un amico comune. Ma non tutti sapevano combinare frasi dolci ed efficaci.
Allora ricorrevano al “Segretario
Galante”, un libro di lettere melense, che fece la fortuna
dell’editore. Erano in tanti ad averne una copia, dove trovavano
quasi sempre almeno l’ispirazione. Devo confessare che qualche
missiva l’ho scritta anch’io, per soddisfare la richiesta di un
conoscente o di un lontano parente, che di mestiere faceva il
pescatore. Una volta fatta la conquista, era difficile per la
fanciulla sottrarsi alla vigilanza della madre: allora si parlavano
lei dal balcone e lui dal marciapiede di fronte. La “guardia”
aveva già preso segretamente informazioni sul giovanotto, quindi era
quasi tranquilla, se le erano state date buone notizie.
Taranto - Il Galeso
Conoscevo una mamma che, per evitare pericoli (un bacio, un abbraccio) scortava la figlia fino all’incontro, all’insaputa del marito. Se lo spasimante aveva il posto fisso ed era stato ammesso in casa, doveva passare la serata a fare lunghe partite a carte con il papà e limitarsi a guardare a lei con occhi da pesce morto specie quando il padre aveva messo a segno un “pisellino” (sette di denaro) o realizzato una scolpa e quindi esultava, distraendosi. Andavano proprio così le cose a quell’epoca, e se le racconti a un ragazzo di oggi, puoi sentirti prendere: “Allora, tu hai conosciuto personalmente Giulio Cesare?”.
A Milano, ai primi del ‘900, gli
amori fiorivano sotto i Portici, in Galleria, sui Navigli…Non c’era
bisogno di appartarsi in luoghi meno frequentati e poco illuminati.
C’era più disinvoltura. Certo lui doveva corteggiare lei con un
certo garbo, creare un’atmosfera romantica credibile, stuzzicando
la vanità di lei o aiutare la sua disponibilità. Se i passanti
notavano la scena, tiravano dritto senza commentare. Il
corteggiamento poteva avvenire di giorno e di sera, all’uscita dal
teatro, quando piano piano un gruppetto di amiche si dirigeva verso
casa.
Milano - Il Naviglio grande
“Signorina, permette?”, chiedeva lui e lei, che, se gradiva, si staccava dal gruppetto e ascoltava, se l’approccio la interessava. ”Mi lasci pensare, sa, è la prima volta e sono un tantino imbarazzata…”; “Adesso, come vede, sono in compagnia, un’altra volta”. Intanto circolava la ronda del piacere: le signore peripatetiche, tra via Santa Radegonda e piazza Diaz, di fianco al Duomo, dove giganteggia la Terrazza Martini.
Le notti milanesi erano affollate. Il Carini, sotto i Portici Meridionali, abbassava la saracinesca alle 5 del mattino, dopo aver servito l’ultimo cognac alla giovane ambulante ormai stanca e mezza assonnata; o un cappuccino alla mezzana che, tazzina alle labbra, sorvegliava la ”protetta” posteggiata in una bicocca rischiarata da un becco a gas. “Gente, andiamo a nanna”, esortava il titolare, accingendosi a spegnere le luci.
Qualche ora dopo, dietro
al Duomo, con il suo banco compariva “quell del cafè del gnoeucc”
o del ginocchio, bevanda ottenuta con i fondi di altra bevanda: acqua
calda tinta di nero, potabile solo - a sentir il poeta meneghino
degli anni ’20 Giorgio Bolza - se vi si spruzzava un goccino di
grappa. “I cafè d’i strascioni, de i pitocch… il cafè de la
nott; dei locch e del brumista ghe van a bev… “, del vecchietto
che andava ad appostarsi sul sagrato della cattedrale per stendere la
mano alla gente caritatevole e del manovale diretto al cantiere
aperto sulla strada: tutti di bocca buona. Due sorsi, cinqu ghej e
via, stropicciandosi ancora gli occhi. I signori, in frac e gibus,
che avevano assistito all’esecuzione di un’ opera alla Scala o a
una prima al teatro, accompagnati da signore in abiti eleganti con
ricami e guarnizioni di pizzi, andavano a sedersi ai tavoli del
Savini, quasi gemello della Galleria, data di nascita 1867 con il
nome di Birreria Stocker, o a quelli del Biffi; e anche lì poteva
fiorire un amore. Verso le due si decidevano di tornare a casa;
mentre i “viveur” più incalliti preferivano fare ancora un giro
per la città, sfiorando gli spazzini e le passeggiatrici.. E poteva
capitare che una di queste signore, intravedendo le ombre di quattro
o cinque “pollè” della squadra dei buoni costumi, per evitare la
cella, si afferrasse al braccio del nottivago, contrabbandandolo come
fidanzato.
Il Duomo a Milano
La mappa del cosiddetto vizio era ben nutrita. Tra le altre contrade, la Vetraschi, ora scomparsa, dove le mestieranti se ne stavano accovacciate sugli scalini di uno stabile o al centro del vicolaccio su una sedia sbilenca. Molti i barboni. Dormivano addirittura su una panchina di piazza Della Scala, sotto il monumento a Leonardo (eretto nel 1872, quando erano stati definitivamente chiusi i caffè e gli altri locali attorno al tempio della lirica; o più in là, in altre zone di Milano. Le notti milanesi, rese meno buie dal “pizzalamped”, erano frequentate anche da brutti ceffi: cravattari, lenoni, ladri, sempre pronti ad architettare mascalzonate, rendendo insicuri certi luoghi di ritrovo. Allignavano alla stazione Centrale, in corso Garibaldi, a Porta Genova, al Parco Lambro, nella Galleria del Transatlantlco della Centrale, così chiamata perchè’ fino a una cinquantina di anni fa era dominata da una enorme riproduzione della “Michelangelo”, una delle regine del mare della Società Italia di Navigazione.
I
“baloss” bighellonavano in un’altra Galleria, quella delle
carrozze, sul piano stradale. A quei tempi chi doveva prendere il
treno si faceva portare dal cocchiere. I loschi figuri non perdevano
l’occasione per far cerchio attorno alle signore, corteggiandole.
Le donne erano belle e contegnose. Non lasciavano trasparire il
desiderio di essere ammirate e aspiravano a contare di più nella
società: l’emancipazione femminile aveva fatto qualche passo
avanti, ma la libertà completa era di là da venire. Per gli
innamorati la vita non era tanto facile. Papà e mamma, se per
esempio, per impegni improvvisi erano costretti a lasciare
momentaneamente l’abitazione, affidavano la vigilanza dei colombi
al fratellino. E il fidanzato fremeva, anche perché alle passeggiate
domenicali doveva sorbirsi la presenza pressante dei futuri suoceri,
che imponevano l’itinerario, di solito i Giardini Pubblici, oggi
dedicati a Indro Montanelli, o le gite fuori porta. L’andazzo
cambiò negli anni 30, quando i “vecchi” cominciarono a capire
che era meglio latitare. Ma non rinunciarono - racconta Alberto
Lorenzi - ne “I milanesi, le donne, l’amore” – ad imporsi nel
caso in cui non condividessero l’unione, per la posizione economica
di lui, il livello della famiglia di provenienza, il carattere…
Allora ai ragazzi non rimaneva che la fuga in carrozza.
La Galleria di Milano
Come si vede, tra Nord e Sud sotto questo aspetto non c’erano grandi differenze.
Durante la mia adolescenza conoscevo una signora che
veniva dal… contado. Aveva una figlia, sulla quale esercitava un
controllo quasi paranoico. Guai a dedicarle uno sguardo, sia pure
ingenuo, più del dovuto. Scattava come un suricato, strattonava la
figlia e lanciava all’uomo un’occhiata feroce. Passò il tempo e
lei si accompagnò con un bravo giovane; questi dovette assentarsi
per qualche mese e l’affidò ad un caro amico, che lo sostituì non
solo nell’incarico ricevuto, che poi passò ad un altro ancora. Di
un’altra ragazza, tutta casa e chiesa, mai vista assieme ad un
uomo, improvvisamente si seppe che era rimasta impollinata. Cose che
succedevano, nonostante i tempi richiedessero rigore e pretendessero
che le fanciulle arrivassero all’altare pure come alla nascita,
nella convinzione che la paglia vicino al fuoco non può stare.
Taranto, via Garibaldi
Oggi la donna è giustamente libera di scegliere se concedersi o meno; e se lo fa nessuno deve metterci il naso. La vita è sua e sta a lei fare e non fare. Così mi diceva un vecchio amico che come me non aveva e non ha nostalgia per quei tempi. I treni arrivavano in ritardo anche ieri e gli uomini diventavano imperatori anche ai tempi di papa Galeazzo, il prete del Leccese furbo come la volpe: una volta vendette a un contadino un asino che incespicava ad ogni passo, e quando il contadino andò a protestare papa Galeazzo gli fece dei discorsi così contorti che il poveretto preferì tenersi l’asino, pur di stare a debita distanza da quel personaggio, che ne sapeva una più del diavolo, a dispetto della tonaca.
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