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martedì 7 marzo 2023

Ricordi di pellegrinaggi meneghini

Via Albricci
DA VIA ALBRICCI A LARGO RICHINI

I PERCORSI DI RENATO OLIVIERI


Al Derby Club si incontravamo i Gufi,

Valter Valdi, Charles Trenet, Umberto

Bindi, il tarantino Teo Teocoli…In via

Pantano aveva lo studio il grande Attilio

Alfieri; in via Chiossetto il laboratorio

Il ceramista Giuseppe Rossicone.




 

 

Franco Presicci

Non so più quanti chilometri ho macinato andando in giro per Milano. Uscivo da casa alle 8 del mattino, inforcavo la mia “Graziella” e pedalavo. Al rosso dei semafori mi fermavo e osservavo la gente che andava sempre di fretta come fosse in ritardo ad un appuntamento. Mi davano fastidio i ciclisti che per evitare il traffico facevano zig zag sui marciapiedi e quelli che al verde attraversavano sulle strisce “lento pede”, come in una scampagnata, ed erano ancora lì quando sul congegno cambiava il colore. 

Attilio Alfieri
Era il ’76 e, nella veste di collaboratore, scrivevo sul “Il Milanese”, periodico dalle alterne vicende: voluto da Arnoldo Mondadori, aveva spento le luci, poi le aveva riaccese sotto la guida del mitico Angelo Rozzoni, severo e imparziale vicedirettore de “Il Giorno” andato in pensione; chiuso nuovamente, riprese ossigeno con Antonio Baroni, già pilota, se ricordo bene, di “Confidenze”. Fu proprio lui a darmi l’incarico di fare il pellegrino per Milano per descrivere le curiosità, la storia, la vita quotidiana, le caratteristiche delle vie. L’idea mi entusiasmò, e cominciai a pedalare. Prima fermata, vicolo dei Lavandai, dove visitai gli studi dei pittori Bertuzzi, Spampinato, Sarik (Riccardo Saladfin), Angelo Cottino e altri, e conversai con Carletto eletto sindaco del vicolo per la cura che aveva per il ricciolo d’acqua che lo attraversava, conservando memoria delle lavandaie che si sfiancavano con le ginocchia sugli “inginocchiatoi” di pietra che si susseguono sotto la tettoia. Mi innamorai di quello scampolo in terra battuta. E quando Bertuzzi preparò una cartella di acqueforti, la mandò alla stamperia con la mia presentazione. E volle che fossi sempre io, terrone impenitente, a descrivere i cortili fioriti, il Naviglio Grande, gli spazzacamini, le ringhiere, “el ricciulin”. La seconda meta fu la Cassina de’ pomm”, che si affaccia sulla Martesana, canale che oggi scorre per tutta la via Melchiorre Gioia. La Cascina ha vissuto brandelli di storia milanese, ha ospitato ai suoi tavoli Carlo Porta, gli innamorati in cerca di poesia, le famiglie che facevano gite fuori porta, ascoltando il brontolio del naviglio che forse non desiderava essere infossato. Quando arrivavo al giornale, il direttore mi chiedeva dove sarei infilato la volta successiva. Diceva proprio così, quando aveva voglia di scherzare, cancellando per un momento l’espressione accigliata.
Laboratorio di Rossicone

“Farò un salto in via Chiosetto e mi ‘’infilerò’ nel laboratorio di quel grande ceramista. che è Giuseppe Rossicone, abruzzese di Scanno, a curiosare nella sala più spaziosa, dove ha il torchio, due forni e due o tre tavoli con tante sculture allineate: faraglioni, multipli, figure… Sicuramente vi incontrerò qualcuno dei frequentatori: Evi Zamperini, una bellissima signora esperta di ikebana; o Ernesto Treccani o Ibrahim Kodra, Attilio Alfieri, Remo Brindisi e altri, pittori che collaboravano con lui. Di rado m’imbattevo lì in ilippo Alto, che era di Bari e dipingeva Milano ma anche la Puglia, da Martina Franca a Locorotondo, a Cisternino, ad Alberobello. Per me Filippo era un vichingo per l’altezza e i capelli biondi. Evy ci chiedeva: “Secondo voi, Milano è bella?”. “Certo che è bella. Lo dice anche Guido Piovene vel suo ‘Viaggio in Italia’, e lo dice anche Maurizio Cucchi, poeta, consulente letterario, traduttore di Lamartine, Flaubert, Stendhal…, innamorato di Milano come altri. Molti la considerano una donna ‘d’anta’ che conserva ancora tutto il suo splendore.

Piazza Belgioioso
Cucchi scrisse che Milano è la città ideale per andare a passeggio. “Non ti aggredisce, non ti stuzzica molesta con l’esibizione delle sue meraviglie. Ti lascia camminare in pace libero e trasognato”. Lo dice in un bellissimo libro intitolato “La traversata di Milano”. Io facevo quella traversata con gioia. Quando mi trovavo in via Lanzone o in via Caminadella o in via Pantano, dove aveva lo studio Attilio Alfieri, grande artista e uomo dal carattere scostante ,ma generoso, mi sembrava di essere nel regno del silenzio e della tranquillità. In piazza Diaz, dove troneggia il monumento al carabiniere, mi fermai a parlare con Carlo Pampanesi davanti al chiosco in cui vendeva stampe e libri della vecchia Milano. Una persona alla mano, che mi catturò con i suoi racconti sulla città e i suoi ricordi di tenace socialista che aveva conosciuto Parri e dava del tu a Ugo (La Malfa).
 
Via Laghetto
 
Mi parlò di un suo libro, “I miserabili di Milano”, che aveva un intero capitolo sulle proprie esperienze di “picul” (garzone) all’”Osteria del Marco” in via Laghetto, dove c’era l’ultimo negozio di carbonaio. Con questo vagabondaggio appresi tante cose. Per esempio, che il laghetto era stato scavato ne1388, all’epoca di Galeazzo Visconti, e serviva per lo scarico dei blocchi di marmo bianco-rosso che veniva da Candoglia per la Fabbrica del Duomo e di rosso da Baveno per l’ospedale. Con il passare del tempo l’acqua del laghetto si era fatta stagnante, costituiva un pericolo per il vicino ospedale e per la gente del quartiere, e Francesco Giuseppe – dicevano alcuni – prese la decisione di… tapparlo. Un giorno, il 26 gennaio del 1857, l’imperatore in visita all’ospedale si affacciò a una finestra per vedere le condizioni di quelle acque destinate ad essere nascoste. Gli operai addetti allo scarico del marmo, i “tencin” (ai quali fu dedicata una statua in bronzo, poi collocata nella chiesa di Santo Stefano), erano angosciati: per racimolare qualche soldo in più trasportavano anche legna e carbone. Ogni strada una storia. In largo Richini, che è anche titolo di un libro del noto giallista Renato Olivieri, comparve Attilio Alfieri, elegante con il suo cappotto grigio e il suo cappello scuro. Era diretto allo studio: “Hai visto la targa sulla facciata del palazzo di via Pantano di fronte al 17? Rammenda che lì nacque l’illustre matematica, filosofa, teologa e benefattrice Gaetana Agnesi”. “Sì, ho anche ammirato il cortile del tuo ‘ateloier’. “Le colonne sono del XVI secolo, i capitelli hanno targhe con la forma di testa di cavallo… Una volta questo era un convento.
 
Scorcio di via Laghetto
Durante la peste vi furono ricoverati gli ammalati perché il Lazzaretto era stracolmo”. Uscii da via Pantano ed eccomi in via Larga. Di fronte svetta la Torre Velasca, che appare come un pugno enorme, non minaccioso, non simbolo di forza e di potere, ma piuttosto di amicizia, di solidarietà. Attraversai via Albricci, dove i o stabile quasi all’angolo con piazza Missori abitò un famoso “boss” a suo tempo allontanato dagli Stati Uniti come indesiderabile, per mafia. Il bravissimo collega de “Il Corriere della Sera”, Fabio Mantica, incaricato dal capocronista Franco Di Bella (che diventerà direttore), lo aveva scovato e incalzato per intervistarlo. E dire che il personaggio in questione – mi raccontò il maresciallo Giannattasio – quando veniva convocato in questura non rispondeva ad alcuna domanda. Il motivo? Negli Stati Uniti finì nei guai perché, interpellato, credo dall’Fbi, sbagliò il girono della sua data di nascita. Da via Albricci saltai in piazza Missori e da lì in via Fieno, uno schizzo tracciato da un pittore dal pennello veloce. Il nome fu ispirato da un antico mercato di paglia e fieno. In questa via è legato un ricordo che oggi mi fa sorridere. Ero a Milano da un mese e un conoscente poi diventato amico, Giorgio Caiati, ferrarese, ottimo ragazzo che lavorava a “La Notte”, quotidiano del pomeriggio, mi presentò al direttore di un mensile, che aveva la sede proprio nell’ex mercato. Era un tipo strano. Anziano, testardo, brontolone, diffidente, pretendeva che le lettere venissero copiate da uno scartafaccio che ne conteneva almeno 200. E mi faceva seguire da una giovanissima impiegata farfallina per controllare la mia obbedienza.
 
Via Dante
Gli chiesi l’autorizzazione, telefonai a Taranto a Luigi Flauret, critico d’arte che aveva scritto tra l’altro un interessante opuscolo, “Il paesaggio pugliese di Raffaele Spizzico”, lo pregai di stendere un articolo di un paio di pagine sulla Biennale di Venezia; impaginai un lunga pezzo sul libro di Giovanni Acquaviva, “La nuova terra”, sulla riforma agraria in Basilicata; buttai giù qualche “pezzo” senza firma: cercai a fatica delle foto e completai il giornale che un altro aveva lasciato a metà andandosene accaldato, dopo un’estenuante discussione con il capo, che cavillava su ogni cosa.
 
Ibrahim Kodra
Anch’io feci lo stesso. Nelle mie peregrinazioni percorsi più volte via Francesco Sforza, per vedere lo storico e celebre Caffè Taveggia, che, sorto nel 1909, vanta una lunga storia, oltre ad aver ricevuto personalità come Wally Toscanini, Carla Fracci…; e cercare il convento eretto nel 1614 e dopo 14anni affiancato dallo stabile detto la Ruota, per essere dotato di una piccola apertura utilizzata dalle mamme che per necessità o altro affidavano ad altri i loro bambini. A Milano dunque non ci si annoia. Se si decide di fare una camminata, sono tantissime le cose da vedere: monumenti, vetrine, teatri, parchi, il liberty, il rococò di certi palazzi patrizi, la Galleria, la Scala, il Castello… Milano è città antica e qua e là si scoprono gioielli. Milano è la città della cultura, della moda, degli affari, dello spettacolo. Quando nacque l’”Intra’s Derby Club”, ci andavo assiduamente, per ascoltare Umberto Bindi, l’autore de “il nostro concerto”; Valter Valdi, i Gufi, Gianfranco Funari, Daisy Lumini, Charles Trenet, Teo Teocoli, tarantino di via Dante… sbirciando fra gli spettatori Giorgio Gaber, Paolo Stoppa, Lina Morelli, che schizzavo su “La Gazzetta di Mantova” e citavo nelle cronache sul quotidiano “l’Italia”. Ho nostalgia di quei percorsi. Di via Torino, che fino a via Cesare Correnti si lascia a destra e a sinistra piccole vene che hanno mille storie da raccontare; e d via Piatti, per esempio, dove abitava il grande e indimenticato Enzo Tortora e scoprivo bravissimi battiloro. Vi passai mezza giornata per visitarli tutti, accolto con vera cortesia. Era il ’74, circa 50 anni fa.





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