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mercoledì 15 marzo 2023

Un ricordo dell’incassatore Renato Cortielllo

TRASCORSE UNA VITA TRA I GIOIELLI

E ORE ALLA SCALA E ALL’ARCIMBOLDI

 

Cortiello e la moglie alla Scala
Lo incontrai la prima volta in via Piatti nel suo piccolo e riposante laboratorio.

 

Lo zio era un grande pittore napoletano, che esponeva alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma.


 

Franco Presicci

Milano ha vie che prendono il nome dai mestieri che vi si esercitavano. Nelle vie Armorari e Spadari si aprivano i laboratori degli armaioli; nella via Speronari quelli dei fabbricanti di usberghi, elmi, fibbie... Tra questi artigiani, alcuni erano molto più bravi degli altri, tanto che ci sono stati tramandati i nomi. Per esempio Antonio Biancardi, ritenuto il migliore; e Ferrante Bellini, maestro della brunitura, lo stesso. Scelgo fra i tanti maestri, che occupavano anche le vie vicine. I cittadini li indicavano scherzosamente come canaglia, a causa del tipo di lavoro che li impegnava. In tempi lontani questi lavoratori convogliamo in associazioni che li proteggevano, tra l’altro assicurando un notevole sviluppo al loro commercio. Non ricordo se piazza dei Mercanti, centro d’incontri d’affari, comprendesse anche i loro prodotti. 

Via Piatti

Via Piatti può far credere che vi si creassero oggetti destinati a tavole imbandite. Si chiama invece così per una famiglia nobile milanese che vi abitava al civico 4, che penso fosse quello in cui stava di casa un galantuomo che si chiamava Enzo Tortora, presentatore simpatico e piacevolissimo e giornalista dallo stile elevato e dalla cultura sconfinata. Queste “lingue” d’asfalto erano e sono traverse della lunghissima via Torino, che si avvia da piazza del Duomo per concludersi in via Cesare Correnti, dove, anche lì, un tempo c’erano virtuosi del ferro. Erano quasi silenziose e tranquile. All’epoca, in via Cesare Correnti sorgeva una Pusterla detta appunto dei Fabbri con un arco su cui era scolpita una donna con il petto nudo e il capo che sosteneva tre piccole torri merlate con incise alcune lettere.

Renato e Ersilia
Cortiello con sua moglie Ersilia
 
 
 
 
 
 
 
Quando esploravo le vie di Milano, le più interessanti, che aggiungevano capitoli alla cronaca che volevo raccontare, in via Piatti trascorsi molte, intrattenendomi nei varti laboratori: Iginio Balla e suo figlio, orafi; Gabriele Conti, tagliatore di pietre; Claudio Locardi, incassatore; Marco Inzaghi, orefice con il figlio e il genero… e Renato Cortiello, un incassatore prestigioso che incassò la pietra centrale sull’anello di papa GiovanniXXIII.
 
Il portone del laboratorio di Cortiello
Cortiello, purtroppo spento da quel killer assatanato etichettato covid, era nipote di Mario Cortiello, che, nato a San Sebastiano al Vesuvio, partecipò ripetutamente alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma. Renato non lo diceva mai a nessuno per il suo carattere schivo e per niente disposto a vantarsi dei blasoni degli altri. Gli bastava il suo, che gli derivava dal carattere e dalla precisione delle opere che realizzava.


Uomo amabile, rispettoso, di poche parole, un sorriso appena accennato, ma significativo, appassionato di musica lirica, frequentatore con la moglie Ersilia della Scala e del Teatro Arcimboldi, all’epoca del nostro incontro aveva 65 anni. Era un artista autentico e una persona perbene. Era nato a Clusone, in provincia di Bergamo da genitori napoletani, ma da una vita a Milano. Faceva, ripeto, l’incassatore di pietre preziose e lavorava in un piccolo ambiente, dove sembrava di essere in una sacrestia, data la pace che vi regnava. Mi disse subito: “Il mio è un mestiere che ha ormai pochi rappresentanti ed è destinato a scomparire perché i giovani non vogliono più farlo. Chi volesse imparare dovrebbe entrare in una bottega e rimanerci almeno tre anni senza percepire uno stipendio: il maestro artigiano non è in grado di assicurarlo. E i giovani hanno fretta, non hanno alcuna voglia di aspettare”. Parlava piano, sottovoce, senza gesticolare, quasi obbedendo all’esortazione dei francesi: “Non accompagnate il gesto alla parola”. Stetti ad ascoltarlo senza fare domande, perché mi piaceva il suo modo di porgersi. Avvertivo nelle sue parole un pizzico di commozione, avvicinandosi il giorno della pensione. “Provo gioia nell’osservare l’oggetto finito, pronto per essere indossato dal cliente”.

Cortiello al lavoro
Gli piaceva moltissimo il suo mestiere. “Che non si può fare se non si ha la passione. Soltanto la passione può farti stare seduto per ore e ore con la testa china su un anello o un bracciale. L’incassatore deve avere anche un’ottima vista”. In piedi dietro il banco, io acculato di fronte a lui, nelle pause pensavo di essere in compagnia di una persona saggia e schietta, oltre ad un artista eccellente. Era mezzogiorno e mi era passata la voglia di andare in una vicina trattoria a consumare il pasto: Cortiello mi trasmetteva serenità e volevo prolungare il più possibile l’incontro. Apparteneva ad una dinastia d’incassatori: il nonno, il padre, i cugini: tutti nello stesso settore.
Cortiello giovane

 

Lui aveva cominciato da ragazzo a prendere dimestichezza con quel’arte. “Avevo una gran voglia d’imparare e non contavo i giorni che mi separavano dalle feste, dalle ferie, dalle domeniche. Il mestiere mi assorbiva, mi dava soddisfazione, gioia. Quando si presenterà il giorno della pensione, sarò sicuramente amareggiato, mi prenderà la nostalgia di questa via, di questo indirizzo, di questo laboratorio, dove viene a trovarmi mia moglie Ersilia, che ormai anche lei, a furia di guardare, osservare i movimenti delle mie mani, conosce un po’ i meccanismi di questo impegno e i sentimenti che m’ispirano. Una domanda era d’obbligo e gliela posi: “Chi è stato il suo maestro?”. E lui rispose prontamente: “Giuseppe Conti, via Cesare Correnti 37, e Giampiero Lazzerini, via Dogana 3. Montavano pietre per De Vecchi di via Montenapoleone, per Sala di via Rovello (adesso ha cambiato sede), per Dessi e Roveda, via Unione 2. Tutti orefici importanti che creavano gioielli su idee del cliente.

Renato Cortiello
Poi ho lavorato anche con i fratelli Chiaravalli, in via Valpetrosa, che hanno orafi intenti a realizzare oggetti per le famiglie nobili di Milano. Conti intuì che io ero adatto. Non distraeva mai gli occhi da me. Mi controllava anche per vedere se ero onesto: accennava al posto in cui teneva i soldi o ricorreva ad altri espedienti. Chi lavora nel nostro campo deve essere corretto; altrimenti va a casa”. “Ha mai montato pietre per persone note?”. “Sono venute da me la marchesa Chiaravalle, per montare uno smeraldo importante; la mamma dell’attore Alberto Lionello; l’attrice Edi Angelillo, per montare un topazio su un anello. Su un altro anello ho incastonato un diamante taglio smeraldo, per la moglie del regista Silvio Soldini. Gabriele Conti mi incaricò di fissare la pietra centrale su un anello appartenuto al Papa che mandava i saluti ai bambini attraverso i genitori. Ho montato un “solitaire” su un anello della moglie del maestro Bonocore…”. “Quali sono gli attrezzi che usa?” “I bulini, che hanno varie forme, la maggior parte elettrici. Prima con i trapani si allarga la sede per inserire la pietra sul monile; con il bulino mezzo tondo si fa la sede più profonda e la si adatta, formando uno scalino dove la pietra deve poggiare”. “Quando andrà in pensione che cosa farà?”. “Coltiverò altre passioni: la musica, il teatro. Passerò la vita, in teatro”.
 
Le dita dell'artista
“Le piace viaggiare?”. “Sì parecchio. Andiamo spesso in Spagna”. “Milano le piace?”. “E’ una bella città. L’ho percorsa a piedi con la guida rossa del Touring, chiedendo ai custodi di farmi ammirare i giardini interni dei cortili, che sono una meraviglia, e ai parroci gli organi, le sacrestie”. “Quali sono gli angoli di Milano che l’attraggono maggiormente?”. “Piazza Belgioioso, dedicata a Cristina, bellissima nobildonna milanese; la Galleria Vittorio Emanuele, il salotto meneghino; i palazzi con le facciate Liberty di corso Venezia; piazza dei Mercanti, una delle più interessanti e gradevoli della città. Ho trascorso la giovinezza al parco di via Palestro, l’antica contrada Isara, che il popolo chiamava Riser. M’interessa leggere le cose che riguardano Milano, il motivo per cui una via, una piazza portano quel nome. Giacchè ci sono, aggiungo che sono stato cantore nel coro del Seminario San Camillo De Lellis, con il quale negli anni 50 partecipai al congresso internazionale dei cori di Parigi”. “Qualche ricordo d’infanzia?”. “Con mia madre ascoltavo le commedie alla radio; e se mi capitava di addormentarmi, la mattina dopo appena sveglio le chiedevo com’era andata a finire la storia”. A proposito di teatri, un pomeriggio mi invitò all’Arcimboldi per assistere alla Tosca e lo inondai di domande sull’opera. Con Renato Cortiello ero diventato amico: un’amicizia vera, sincera, come quella che mi legava al maratoneta Cesare Isabelli. Poi il primo se l’è portato via il covid; il secondo i postumi di quel cecchino che ha seminato lutti dappertutto impiegando molto tempo per placarsi.







1 commento:

  1. Buongiorno, vi contatto da una casa di produzione tv di Roma, avremmo una domanda sull'utilizzo di una delle foto sul vostro sito, potreste ricontattarci? La mia mail è cristiano.ogrisi@gmail.com, grazie mille!

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