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mercoledì 28 giugno 2023

Aldo Cortina e il suo amore per Milano

IL SUO “ATELIER” ERA FREQUENTATO

DA ALDA MERINI E DA DINO BUZZATI


La tettoia di vicolo dei lavandai

Allievo di De Pisis, il pittore allestì

mostre in mezzo mondo. Titolare della

libreria  universitaria di fronte alla

Statale, era notissimo e molto

apprezzato. 

Delle sue opere scrissero i critici più

famosi, da Alberico Sala a Mario

Lepore. Sospirò la conquista di via

Bagutta, che due volte all’anno diventa

una galleria d’arte a cielo aperto. 

Il Comune gli assegnò l’Ambrogino

d’oro.

 

Franco Presicci

Aldo Cortina
Il Naviglio Grande
Ricordi di Bagutta del fondatore  De Cerce

Aveva l’atelier in vicolo dei Lavandai. Subito dopo aver messo piede in quel nastrino di terra battuta, lo si trovava di fronte. E appena entrava un visitatore, amico o sconosciuto che fosse, gli andava incontro con un bicchiere di vino. Se il nuovo arrivato era astemio, nessun problema, tanto subito dopo sarebbe arrivato un altro e il nettare se lo sarebbe sorbito lui. Aldo Cortina era di una gentilezza squisita, di un cuore nobile.
Quando dipingeva il Naviglio Grande, le sue case, i suoi cortili, le sue ringhiere inondate di fiori, gli si formava attorno una siepe umana, e lui continuava a far fremere il pennello sulla tela, incurante del movimento. Erano soprattutto ragazzi che crescevano sull’alzaia, giocando sulla sponda del ricciolino d’acqua che svirgola dal naviglio. Quando dalla finestra della sua abitazione li vedeva il Carletto, insignito scherzosamente del titolo di sindaco del vicolo, sceneggiava tuoni e saette. Carletto era uno spilungone bonario e innamorato del “suo” “rizzulin”. I ragazzini avevano capito che i suoi erano quadri di teatro e non se ne preoccupavano, anche perché il Carletto abitava al primo piano del civico 6 e, se avesse fatto sul serio, prima che li      raggiungesse avrebbero avuto tutto il tempo di eclissarsi. Il duello accadeva quasi ogni giorno, mi diceva il solito Guido Bertuzzi, che era uno degli “elettori” del Carletto e uomo di una simpatia grande e di una bontà più unica che rara, oltre che pittore delicato. Io, con il Carletto, avevo parlato più di una volta e una di queste mi aveva detto di essere molto legato al “rizzolino”, tanto da sentirlo parte di sè. Lo considerava sacro e anche misterioso in quanto nessuno sapeva dire dove andasse a finire dopo essersi infilato in un varco aperto sotto l’alto muro che deviava il vicolo.

Corso Vittorio Emanuele
Aldo Cortina non seguiva questi avvenimenti, anche perché nello studio era presente la sera dopo la chiusura della sua imponente libreria universitaria davanti alla Statale e la domenica, quando andavano a visitarlo amici cari, tra cui Alda Merini, Dino Buzzati, Bettino Craxi, Giovanni D’Anzi, Romualdo Caldarini, che lanciava sempre uno sguardo alla tettoia, che è monumento nazionale. Qualche settimana prima della sua morte all’ospedale Fatebenefratelli Aldo aveva montato il cavalletto in piazza del Duomo, affollata di turisti e meneghini che conversavano o davano il pasto ai colombi. Amava anche il dialetto della “sua” Milano e ogni tanto si compiaceva di parlarlo anche con qualche forestiero. Anni prima, per uno spettacolo teatrale aveva realizzato quattro scenografie, tra cui la stazione Centrale, il Naviglio Grande, la Cattedrale. Una occupava l’intera parete dello Spazio Cortina, che era il nome del suo studio. Dopo di lui sono state le figlie Tiziana e Michela a tenerlo attivo. Non poteva chiudere la bottega che era un gioiello del vicolo più famoso visitato di Milano, che attirava anche docenti dell’Università di via Festa del Perdono, tutti attratti dalla pittura impressionista di Aldo, che era stato allievo di De Pisis. Era un falso burbero. In realtà era persona semplice, generosa, cordiale. “Era un montanaro”, mi disse Tiziana, che sul papà potrebbe scrivere un libro. Aveva due fratelli: Renzo, che aveva una spaziosa e fornitissima libreria con annessa galleria d’arte in piazza Cavour con vetrine in cui erano esposti oltre ai libri anche quadri di Buzzati; Mario, anche lui libraio, in via Francesco Sforza. Renzo scrisse un volume, “Horca miseria”, titolo che parafrasava “Horcynus Horca”, di Stefano D’Arrigo pubblicato nel ’75. Anche Renzo, che in quelle pagine riuniva tutti i nomi più rilevanti di Milano e non solo, era molto conosciuto a Miano: partecipava a giurie di premi, organizzava presentazioni di libri, esponeva artisti famosi, come Filippo Alto e lo stesso autore del libro, uno dei tanti, “Un amore”, Buzzati. Aldo e i suoi fratelli arrivarono a Milano nel ’53 da Trichiana, Belluno. Aveva 14 anni e già mescolava i colori sulla tavolozza. Aldo conobbe De Pisis alla Galleria Barbaroux, da cui attinse la tecnica e la vocazione per la pittura “en plein aire”.
Catalogo di Aldo Cortina
Notai una sua opera esposta non ricordo più dove, m’informai e andati a cercarlo in libreria, acquistando “Le istituzioni di diritto pubblico” di Paolo Barile. Quasi fosse un sensitivo, mi disse: “Tu non sei venuto solo per il libro”. “Infatti”. “Allora?”. “Vorrei fare due chiacchiere con te, se hai tempo”. “Ne ho”, e pregò una collaboratrice di sostituirlo. Intuì quello che desideravo e non mi dette tempo di fargli domande. “Lavoravo come garzone di farmacia, ma preferivo vendere libri, così mi piazzai con un carretto nei pressi di piazza Santo Stefano, aspettando clienti. Nel tempo libero frequentavo la Scuola d’Arte del Castello Sforzesco e l’Accademia di Brera”. La prima mostra l’allestì alla Galleria Bolaffi di Milano. Con la guerra indossò la divisa e continuò a usare i pennelli. “Poi mi fecero prigioniero, a Orano, sulle coste algerine”. Parlava in modo fluido, Aldo. E mi guardava dai suoi occhiali con la montatura spessa e scura. “Tornai al commercio dei libri e realizzai questa libreria.
 
Antichità
Poi altre, e altre mostre personali, nei musei e in diverse città, nel nostro Paese e all’estero, come alla Chinetti Gallery di New York”. Negli anni ’60, la lotta per la conquista di via Bagutta (che si voleva sorella della romana via Margutta), capeggiata da Bruno De Cerce, un bravo pittore barbuto e battagliero, fu vinta e gli artisti, due volte all’anno, potettero trasformare la via, che parte da piazza San Babila, in una lunga galleria d’arte. La via continua ancora a calamitare valanghe di curiosi e acquirenti. Quando De Cerce, che aveva anche un’attività pubblicistica (scrisse tra l’altro un taccuino di ricordi presentato dal celebre giornalista e scrittore Nantas Salvalaggio), lasciò la presidenza del comitato, toccò a Cortina guidare il comitato organizzatore. Io non mancavo mai a quelle giornate multicolori.
 
Romualdo Caldarini
 
 
Mesi dopo la morte di Aldo Cortina suggerii al nuovo pilota, Romualdo Caldarini (che aveva la una galleria d’arte sull’alzaia Naviglio Grande, dove dipingeva anche i trulli su ampie distese di vigneti), di intitolargli un’edizione della mostra. Caldarini, che mi sembrava un monaco francescano anche per la dolcezza dei suoi modi, accolse subito la proposta e si scusò di non averci pensato. “Papà dipingeva tutte le domeniche”, mi raccontò Tiziana. Si ispirava alle vie, alle piazze piene di gente e affogate nella nebbia, ai canali della vecchia Milano, al Naviglio Grande, di cui ha colto l’atmosfera di poesia. Nei suoi quadri emergevano anche Venezia, che portava nel cuore, le valli bellunesi, con tocchi rapidi, decisi, ricchi di emozione. La sua gamma cromatica trasmetteva gioia, speranza, ottimismo. Ricevette apprezzamenti da Churcill e da Pertini. Ma lui non se ne vantava con nessuno. Lo scoprì la figlia Michela, spigolando tra le sue carte.
 
Festa del Naviglio
Alle feste del Naviglio il suo studio veniva preso d’assalto, mentre un appassionato di fisarmonica, Gamberini, intonava brani milanesi e Cesarino il tassista spandeva allegria. “Per la salvaguardia del dialetto brianzolo andavamo con altri artisti a Viganò Brianza: realizzavamo quadri estemporanei che venivano messi all’asta e poi tutti al ristorante “Pierino”. Aldo Cortina era il primo a finire e ci dava fretta. Una frana distrusse un asilo a Berbenno di Valtellina e io, Aldo ed altri con le nostre tele contribuimmo alla ricostruzione del luogo”. Sono passati tanti anni da allora e ancora oggi non sono pochi quelli che rimpiangono l’allievo di De Pisis che amava Milano e le folle, che riprendeva come teste di spillo. Aldo morì all’età di 67 anni, nell’88. In vicolo dei Lavandai ci andai una mattina piovosa e mi soffermai a scambiare due parole con una signora molto anziana che non aveva conosciuto né Aldo Cortina né Guido Bertuzzi, ma ne aveva sentito parlare. Sapeva che del pittore-libraio avevano scritto, fra gli altri, Buzzati, Alberto Bevilacqua, Mario Lepore, Enzo Fabiani, Giuseppe Pontiggia, Alberico Sala (che era anche poeta, e quando nel ’67 a Sanremo morì Luigi Tenco fece una pagina sul “Corriere d’Informazione”, definendo vere poesie le canzoni dell’autore di Cassine). Nel ’79 il Comune di Milano assegnò ad Aldo l’Ambrogino d’oro. Uno dei suoi cataloghi, edizioni Martello, porta la firma di Enzo Carli, il quale scrive di conoscere poco questa città, specialmente le strade e i quartieri lungo il Naviglio dove in un certo vicolo dei Lavandai il pittore ha installato il suo studio, e quindi non sono in grado di garantire la fedeltà topografica di tanti luoghi da lui prediletti e riprodotti. Ma a me, toscano abituato a ben altri cieli e a ben altre realtà urbane, i suoi quadri comunicano un’emozione quasi struggente, una sorta di nostalgia di un tempo e di un mondo ormai tramontati”: tempo in cui il traffico ed i parcheggi non erano intasati e l’aria era pulita e le biciclette non correvano sui marciapiedi, sfiorando i pedoni.







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