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mercoledì 9 agosto 2023

Il gallerista Mimmo Dabbrescia

ACCOGLIEVA MOLTI PUGLIESI

NEL SUO SPAZIO PROSPETTIVE

Giuseppe Francobandiera
Con l’editrice Celip

presentammo da lui volumi

sui navigli, cari ad Alfonso

Gatto, a Gaetano Afeltra e a

Guido Vergani, e sulla storia

della squadra di calcio Bari.

Inoltre festeggiammo i 25

anni della rivistaIl Rosone”.

 

 

Franco Presicci 

Mimmo Dabbrescia
Una volta i pugliesi venivano invitati allo Spazio Prospettive d’arte di Mimmo Dabbrescia, nei pressi del Naviglio Grande. Mimmo è persona gentile, intelligente, disponibile, ospitale, ha una moglie, Bruna, critico d’arte, due figli eccezionali. Non solo ci metteva a disposizione la sala, spaziosa, elegante, ariosa, con quadri di pittori importanti, da Carpi a Treccani, da Tamburello a Guttuso, appesi alle pareti, ma offriva anche il “buffet”. Ne abbiamo fatti, di incontri, da Mimmo. Bastava fargli una telefonata e lui chiedeva solo la data. Presentammo un grosso libro, che era la storia della squadra di calcio barese, e siccome nel pubblico ci sarebbero stati due “goleador” pugliesi e un “manager”, invitai i dirigenti del Milan a far partecipare qualche giocatore rossonero, ma dopo tante suppliche mi risposero che non potevano distrarre i loro “gioielli” la sera prima di un incontro importante, appunto con il Bari; e ad un’ora dall’inizio della serata un “fax” di Baresi mi avvertì che non sarebbe venuto a causa di un altro impegno. Pazienza: la Provvidenza provvede. E provvide con Giovanni Lodetti, già centrocampista del Milan e campione europeo.

Guido Bertuzzi
Tramite Guido Bertuzzi, avevo invitato anche Bearzot, da me conosciuto nello studio del pittore, ma non stava bene, tanto che dopo qualche giorno fu ricoverato in ospedale. Presentammo poi un altro volume, sui navigli, peso tre chili e mezzo e denso di contenuti: testi di storici, docenti universitari, architetti e via dicendo. Moderatore del dibattito Piero Colaprico e tra i relatori lo storico Guido Lopez.

Don Lurio

C’era anche il ballerino newyorchese, star di “Studio Uno”, Don Lurio, che dipingeva senza farsi pubblicità, uscendo allo scoperto con l’esposizione delle sue opere proprio da Dabbrescia, l’anno in cui prese parte al Festival di Sanremo condotto da Fabio Fazio. Il coreografo ascoltò con interesse la narrazione delle vicende dei corsi d’acqua, soprattutto del Naviglio Grande, caro al poeta Alfonso Gatto, al giornalista Gaetano Afeltra, all’architetto Empio Malara e a Guido Vergani, che in un articolo sul “Corriere” aveva appena evocato il “bateau mouche”. Poi Don Lurio fece un commento pacato, rispettoso, a bassa voce: “In Italia vedo che c’è tanta polemica tra meridionali e settentrionali, da noi siamo tutti newyorchesi e basta”. Guido Lopez reagì incurante dei tentativi di spiegazioni dell’altro, ma alla fine questi gli regalò un catalogo della mostra con una bella dedica, che addusse la pacificazione. Sempre da Dabbrescia allestimmo una manifestazione per lo scrittore tarantino Giuseppe Francobandiera, che era stato direttore del centro culturale Italsider, allocato nella masseria Vaccarella della Bimare; e prese la parola Arnaldo Giuliani, già capocronista e penna elegante del “Corriere della sera”. Purtroppo Arnaldo, grande uomo e giornalista bravissimo, parlò poco perchè la moglie, Gabriella, una signora dolce e graziosa, era sul punto di spegnere i suoi sorrisi. Quando sentono odore di Puglia, i nostri conterranei non li ferma nessuno. Ancora allo Spazio Prospettive d’arte festeggiammo i trent’anni della rivista “Il Rosone”, periodico fondato e diretto da Franco Marasca, foggiano docente di Lingue e conoscitore di quella russa, e ancora una volta la sala si affollò di tarantini, brindisini, baresi. Arrivarono a sciami, facendo a gara per conquistare i primi posti. Molti anche i milanesi e i soci dell’Associazione regionale pugliesi guidati dall’indimenticabile Dino Abbascià. Arrivarono in gruppi o alla spicciolata, in auto o in tram, qualcuno in taxi. Cesare Isabelli, assiduo alla Stramilano (era andato fino a New York per accodarsi anche a quella corsa), si presentò a piedi.

Alto Antonietta Iacubino, Nennella, Giacovazzo, Chechele Presicci  

Le foto parlano, rendono testimonianza. “Il Rosone era stato inaugurato alla “Porta Rossa” di Chechele e Nennella, in via Vittor Pisani, due passi dalla stazione Centrale. Era la sede naturale di un battesimo come quello, con un bravissimo anfitrione come il “pugliese”, come chiamava Chechele Gaetano Afeltra, che era di Amalfi. Chechele accoglieva i clienti della sua terra a braccia aperte, e così in quella festa. Seduto in disparte, non perdette una parola di Antonio Velluto, cugino e compaesano di Marasca (entrambi nati a Troia) e guardava estasiato l’oratore, che a Milano era, oltre che giornalista della Rai, assessore all’Edilizia popolare. Chechele veniva da Apricena, dove aveva una panetteria ed era una pasta d’uomo.

Se c’era da offrire un pranzo gratuitamente a un poveretto, lo invitava ad accomodarsi e lo serviva come fosse un principe. I suoi tavoli erano sempre occupati da personalità: attori, registi, funzionari della questura, direttori di giornali, cantanti… che sbirciavano dalle pareti in fotografie a colori in grandi dimensioni. Quando facevamo il Premio Milano di Giornalismo, lui si appostava in un angolo e seguiva la discussione della giuria con interesse e curiosità. E ogni tanto faceva segno al cameriere di portare una bottiglia di vino. La giuria comprendeva nomi notevoli: dai pittori Giuseppe Migneco, Ibrahim Kodra e Filippo Alto a Ugo Ronfani, vicedirettore del “Giorno” a Alberico Sala, critico d’arte del “Corrierone” a Vincenzo Buonassisi e Edoardo Raspelli, gastronomi autorevoli.

Rossicone,Kodra, Alto
E la sera della consegna del premio avevamo ospiti illustri, tra cui Giovanni Testori, autore di libri importanti, il sindaco Carlo Tognoli, Gino Palumbo, direttore de “La Gazzetta del Sport” e prossimo a prendere in mano le redini del giornale di via Solferino, la scrittrice Milena Milani e lo stesso Mimmo Dabbrescia, che da giovane è stato un valente reporter del “Corriere”. Da Chechele facemmo le ore piccole con Giuseppe Giacovazzo e Filippo Alto una sera prossima al varo del Premio Puglia, voluto dallo stesso ristoratore nell’altro suo locale dalle parti di viale Piave. Mentre lo accompagnavamo in albergo, Giacovazzo, che si diceva stesse per essere nominato direttore del “Giorno”, ci somministrò dei suggerimenti e ricordò i tempi in cui soggiornava a Milano collaborando con Paolo Grassi. Una volta mi intrattenni con il cofondatore del “Piccolo” nell’atelier del teatro poco prima dell’inizio di una commedia, e mi disse che era lì ad aspettare il direttore de “La Gazzetta del Mezzogiorno, Giacovazzo appunto.

Parte del pubblico a una serata pugliese

Capii la stima e l’affetto che l’uomo di teatro nutriva per il giornalista barese, tra l’altro autore di “Puglia, il tuo cuore”, che venne presentato a Crispiano alla masseria “Monti del Duca”, dove il cortile venne prese d’assalto non soltanto da crispianesi e tarantini, ma anche da persone venute da altre parti della regione. Questi pugliesi, che gente! Nel capoluogo lombardo hanno i posti migliori, e se svolgono mestieri modesti sono anche lì i più bravi. Una sola cosa non mi piace, e non piaceva neppure a Giacovazzo, che lo dice nelle sue pagine: si nascondono sotto il dialetto meneghino per spacciarsi come tali. Che bisogno c’è? I nostri dialetti hanno termini musicali, onomatopeici, gli stessi tarantini s’incantano quando ascoltano i vecchi pescatori del borgo antico. Ho in mente una foto che ritrae Alfredo Nunziato Majorano, poeta e etnologo, paitito dei due mari, mentre parla appunto con uno “de Tarde vecchie mjie” proprio per apprendere gemme di quel vernacolo. Ho conosciuto persone che godevano ad esprimersi nel proprio dialetto con gli stessi milanesi, che non lo capivano, ma se lo facevano tradurre.

Raffaele Carrieri
Al giornale avevo un collega nato e cresciuto come me fra le cozze e uno di un paese vicino. Il primo mi parlava in dialetto (“se no’nge te stè’ cìtte, te dòche ‘nu furbòne”, frase che mi mandò in visibilio); l’altro invece sfornava parole della città che lo ospitava; e giudicava volgare il nostro linguaggio, non sapendo che io mi vergognavo di lui. Ho fatto tante esperienze a Milano; ho conosciuto gente di ogni razza e provenienza, Non ho avuto il piacere di incontrarmi con il poeta Raffaele Carrieri, che mi dicono avvezzo a parlare il nostro vernacolo con chi andava a trovarlo da “’u pònde de fìerre”. Il nocese Vito Plantone, questore carismatico, amava il suo dialetto, era orgoglioso del centro storico del suo paese e lo riteneva più bello, più ordinato, più fiorito di quello di Martina. E Mimmo Dabbrescia? Lui sicuramente ama la città della famosa Disfida, “Varrètte” o “Barlètte” in dialetto, ma non ne parla: meglio, una volta, al Castello di Cereseto, dove aveva organizzato un’iniziativa in favore di Filippo Alto, presenti una giornalista della Mondadori e una “manager” della Feltrinelli, qualcuno gli chiese di dove fosse e lui rispose “Di Barletta”, con un tono dilettale. Lo conosco da quando faceva la rivista “Prospettive d’arte” (da cui prese il nome la galleria), ricca di colori e di titoli su articoli dedicati ad Attilio Alfieri, Ernesto Treccani, Enrico Baj, Remo Brindisi, Bruno Cassinari, Domenico Cantatore, che era di Ruvo di Puglia, Domenico Purificato, Salvatore Fiume… sui quali ha anche pubblicato i volumi “Visti da vicino”. Raffaele Carrieri è presente in altri suoi libri.








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