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mercoledì 23 agosto 2023

Una giornata dedicata a Taranto

INCROCI DI RACCONTI EMOZIONANTI DI UNA CITTA’ BELLISSIMA E MILLENARIA                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   

                   Antonio De Florio, Nicola Giudetti, Franco Presicci, Cataldo Sferra
 

Si sono scambiati opinioni, pensieri, idee, hanno ricordato i poeti, i

personaggi, i luoghi d’incontro, i fatti di un tempo. Hanno discusso del

dialetto e recitato poesie.

Quasi un convegno estemporaneo, teatro un trullo di Martina Franca.


Franco Presicci 

Un 9 agosto quasi da inserire negli annali: istruttivo, divertente, coinvolgente, gioioso. I protagonisti sono entrati nel tratturo con l’auto a bassa velocità, attenti ai rovi che grondano dal muro a secco e li ho accolti come fòssero gli ori di Taranto.

Quercia alla fine del tratturo
Portavano il profumo de “le còzze gnòre c’addecrèen‘a vòcche” e tanti, ma proprio tanti, ricordi. “Ste persunàgge d’accezione èrene trète: Antonio De Florio, Nicola Giudetti e Caltaldo Sferra: ”‘u prìme jè ‘nu reggìste d’accezziòne, ca sus’a fessebbùcche fàce film ca te ‘ngàndene; ‘u secònne ‘n’artìste cu ‘a taulòzze indr’o còre, puète, amànde de le strumìende d’ù tìembe de ‘na vote, ca tèn’astepàte indr’a ‘na sòrte de musèe; ‘u tèrze, puète ca cumbòne pùre canzùne e hà’ mìse sus’a càrt‘a storie de Anna Fougez accùme no’nge l’ha cundàte nesciùne. Hònn’arrevàte a le dèce, dànneme ‘nu prìesce ca no’nge ve diche”. Hanno sparso nel tratturo un po’ d’aria dei due mari, ‘u Picce e ‘u Màsce. Hanno portato Taranto, il suo dialetto, la sua poesia, i suoi cantori antichi, tra fichi e ulivi, viti inginocchiate o nane, come avrebbe detto Raffaele Carrieri. Hanno “arruolato” altri due tarantini veraci snidandoli dal loro trullo in fondo a questo nastro di terra battuta fiancheggiato da muri a secco qua e là diroccati o snaturati: Mara Sarotto, nata in via Cava, e suo marito Pino Del Vecchio, che non hanno mai rinunciato a dire “chiamuèzzele” e cemenère”, “fuèche” e “scarfalìette”.

Giudetti, Del Vecchio, De Florio

Giudetti ha recitato alcuni suoi versi con una verve spassosa e ne ha improvvisati altri, cortesi, per il padrone di casa; De Florio sturava la sua memora rivolto a Pino, conoscendo entrambi Taranto come le loro tasche. Io ascoltavo, assorbivo, mi emozionavo e scambiavo battute con Cataldo, un uomo pacato, tranquillo, di poche parole, un sorriso discreto, atteggiamenti da buon curato di campagna, che produce delicatezze, come “Serenata a le do’ mare”, “Cu ttè’ ind’a ‘na vàrche”, “Un angelo nella notte”, in collaborazione con Antonio Gentile. Seguo su Facebook i suoi canti tarantini: le bellezze, i luoghi storici, gli abbracci del ponte girevole, le barche che dondolano nel Mar Piccolo, i pescatori, i venditori di cozze….

Presicci, Giudetti
La Taranto che amiamo, che ci portiamo nell’anima; la Taranto che vagheggiamo quando siamo lontani, che fa pentire e soffrire chi l’ha abbandonata e deve accontentarsi di ritorni troppo rapidi. E’ stato davvero bello ascoltare De Florio, Giudetti e Sferra, i loro brani di vita, i loro pensieri, le sintesi delle loro poesie, eseguite come il pianista che fa scorrere le dita sui tasti provando pezzi d’opera.
 
Giudetti in cartolina

Mi ha colpito la memoria di Giudetti, il suo modo di conquistare la scena, la sua capacità di descrivere gli attrezzi che custodisce nel suo museo e che illustra ai visitatori (i loro usi, la loro linea, come la forma del calzolaio che lavorava con il deschetto o il trapano a mano usato da “’u conzagràste” per riparare le fenditure dei vasi e dei tegami in terracotta). Quando osservi quegli attrezzi ripassi la civiltà del mondo antico, guidato da questo cataldiano esemplare, simpatico anche per i toni delle frasi in vernacolo che fioriscono sulle sue labbra. Quando i turisti entrano nel suo locale in via Duomo restano affascinati dal suo linguaggio, dalla Taranto che racconta, dalla descrizione degli elementi sparsi su un bancone, dalla processione pasquale che ha ricostruito fedelmente in terracotta, dalle grosse valve di “paricelle” (ne parla anche Cataldo Sferra), in cui una volta i pittori riproducevano il paesaggio della città vecchia.

Cataldo Sferra

Avanti tutta, direbbe Renzo Arbore; e i miei ospiti m’incantavano. E’ stato una specie di convegno estemporaneo, con relatori particolari, anche se sprovvisto di pubblico. Questi miei interlocutori sono amici preziosi. Il loro amore per Taranto è incommensurabile.
Nicola Giudetti l’ho ascoltato in un video e l’ho ammirato per la sua capacità di ripercorrere fra l’altro tutto il vissuto delle famiglie che in tempi passati hanno abitato in via Duomo: nomi, cognomi, discendenze, ascendenze, professioni, mestieri, parentele, virtù e debolezze. Ascoltarlo è sempre un piacere. Davanti a lui nel video c’erano parecchie persone che gli ponevano domande, lo sollecitavano ad approfondire anche sulle vicende trascorse della via, e non solo. Altro che mattatore della ribalta. Altro che fine dicitore. E’ in grado di reggere la scena per ore, esibendosi accompagnando il gesto alla parola, conversando, versando briciole di cultura tarantina. Gli altri non sono stati da meno. Quel mercoledì 9 agosto hanno tenuto il palcoscenico in maniera più che interessante, ammirevole. Giorno memorabile, dunque. Sono riemerse anche le figure dei poeti che hanno dato lustro a Taranto, con i loro palpiti, con le loro commedie (i fratelli Nasole; Marturano:“’U cuèrne de Marie ’a canzirre”…; Majoramo: “’A Sànda Mèneche”… Diego Fedele che con le sue ispirazioni (sempre presenti nella memoria di Cataldo Serra) ha vinto premi anche fuori Taranto. 

Ore tarantine a Martina: teatro un trullo.

Del Vecchio, De Florio

Rivedevo la mia città con le sue mille attrattive, le sue fette scomparse per fare spazio al nuovo, i tratti di mare nascosti da costruzioni recenti, i mercati com’erano, le vie, le piazze (la stessa piazza Fontana rinnovata dall’arte di Nicola Carrino), le rive del Mar Piccolo occupate dai banchi a scala con grossi piatti di terracotta pullulanti di frutti mare: cozze pelose, ostriche, “iavatune”, “spuènze”, “cacasanghe”…; i locali rinomati chiusi (“Pesce Fritto”). Ecco anche “Cicce ‘u gnùre”, del quale è apparsa su facebook una foto in cui lui offre una cozza aperta al momento a un cliente; il giardino dei mitili… Una Taranto che mi sfila sempre nella mente; una Taranto che ho vissuto; una Taranto che adoro; una Taranto sfavillante; una Taranto adorabile; una Taranto spettacolare “quànne pònn’u sòle”; il canale navigabile, dove una volta s’immergevano i palombari. Dolce Taranto. Taranto millenaria. Taranto che resiste alle ferite, alle ingiustizie, agli schiaffi, alle pedate; Taranto che sa risorgere, Taranto dalle tante sfaccettature. Taranto ricca di gemme.

Altra opera di Giudetti

A questo pensavo in alcuni secondi, mentre De Florio, Giudetti, Sferra si scambiavano opinioni, giudizi, emozioni con Mara Sarotto e Pino Del Vecchio. Ascoltavo, ripeto, il dialetto di Giudetti, sonoro, autentico, e mi dicevo fortunato ad avere avuto i natali in questa città, in via Nettuno, alle Tre Carrare, quartiere popolare pulsante di voci, di echi, di strilli, di richiami, di gente disponibile, cordiale, ospitale, anche se a volte un po’ chiassosa, ma sempre amabile, come tutta la gente di Taranto. I miei ricordi andavano a viale Venezia, oggi Magna Grecia, nei miei vent’anni cosparsa di solo verde, con una sola costruzione: una clinica. Ci andavo ogni giorno alle 14 imprigionato sul telaio della bicicletta guidata da un amico patito del pedale.

Libro di Sferra
E mai avrei immaginato che un giorno quella zona desolata avrebbe avuto un impulso di vita così vasto, con schiere di palazzi e di negozi, con voci squillanti in ogni ora del giorno, con cilindrate che non hanno sosta, di clacson irritati, di balconi senza cittadini affacciati sullo spettacolo. Senza volerlo, ripeto, il 9 agosto è stata celebrata Taranto, sia pure in dimensioni ridotte. Sono stati tirati in ballo Vito Forleo (“Taranto dove la trovo”), Cesare Giulio Viola (“Pater, il romanzo del lume a petrolio”, ”Venerdì Santo”, che all’Orfeo ebbe come protagoniste Emma Gramatica e Elsa Merlini, negli anni 50). Prima di mezzogiorno il trio si è rimesso in auto e si è avviato lungo il tratturo che serpeggia tagliando castagni e filari di viti quasi pronte per il parto, Ho seguito la vettura con lo sguardo, immaginando tutto il percorso mmère quìdde besciù ca jè Tàrde”. Subito dopo ho cominciato a leggere il libro di Cataldo Sferra su Anna Fougez, una diva che ha portato il nome della Bimare nel mondo. La figura della Fougez in questa commedia dialettale tarantina è stata srotolata come un gomitolo all’autore dalla nonna della moglie, Maria Serafina Murianni, che l’allevò. Quindi vi si apprendono particolari finora ignorati. Sferra non ha però esitato a pescare altre notizie, consultando fra l’altro l’Archivio di Stato e altri enti. Ma ne parlerò prossimamente. Queste pagine meritano molta attenzione. Le ha messe giù un poeta, un autore di canzoni, un maestro del dialetto, un uomo con la faccia di un nonno che tiene buoni i nipotini narrando loro, accanto al braciere, a Natale, non le favole, ma stralci di vita vera.








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