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domenica 6 agosto 2023

Non dimenticare le voci del passato

Diego Fedele
IL POETA DIEGO FEDELE
CANTO’ TARANTO CON AMORE

Usava un dialetto gioioso, ironico

e anche un italiano elegante. 

Nella città vecchia ascoltava le voci della

gente e gli urli dei venditori. 

Il Mar Piccolo alimentava la sua

ispirazione. 


Franco Presicci

Prima di cimentarmi in maniera modesta con il mio dialetto, ho studiato la grammatica di Claudio De Cuia e il dizionario della parlata tarantina di Gigante. Li consulto ancora ogni volta che mi viene l’idea di qualche verso. La forma a volte non sarà corretta, ma lo spirito con cui stendo le mie quisquilie spero non deluda.

Quando ho poi deciso di rileggere la mia produzione per raccoglierla in un libro, affidandolo ad un caro amico, titolare di una grande tipografia a Corsico, Giuseppe Caler, ho sentito il bisogno di scrivere una prefazione, in cui chiedo scusa ai grandi, Marturano, Majorano, De Cuia, Tebano, Caforio, Fedele ed altri per il mio ardimento; e da lassù mi avranno perdonato e magari anche incoraggiato a fare meglio. Quando avevo 18 anni fu proprio Diego Fedele, delicato e prolifico poeta, a cui si devono anche belle ed esaltanti canzoni (una la sentii cantare al Teatro Orfei), a esortarmi a far scorrere la penna. Mi conosceva da parecchi anni, perché mio padre, disoccupato, faceva dei piccoli lavori con calce e cazzuola e aveva realizzato il bordo in cemento di un’aiuola in un cortile di fianco a quello di Diego, in via Messapia. Dopo anni mi intercettò in via Nettuno e puntandomi l’indice mi disse: “Tu sei Franco Presicci”. Era un bell’uomo, signorile, di buone maniere e alla risposta affermativa (non ne aveva bisogno perché sapeva bene chi ero), mi invitò a casa sua, dove conobbi la famiglia. Tutte le volte che ci andavo mi leggeva le sue poesie, con l’abilità del fine dicitore, a volte assumendo la posa dell’attore illuminato dalla ribalta.

Diego legge una poesia
Cominciai a volergli bene e ogni giorno mi somministrava versi nuovi in dialetto, regalandomi anche briciole di cultura generale, senza enfasi, senza atteggiamenti da saputo, sempre garbato, elegante, affettuoso. In seguito scoprii che era una persona dalla cultura non raccattata, un signore schietto, pacato, disponibile. Una delle ultime volte che lo vidi fu in un ufficio dell’Italsider, che aveva da poco innalzato le sue ciminiere, dove mi trovai di fronte a Mario Mazzarino, che avevo conosciuto anni prima, avendo frequentato con lui e altri la parrocchia del Cuore di Gesù. Mario mi teneva in considerazione e un bel giorno mi affidò la parte di protagonista nella commedia “Il ribelle”, di cui era regista (la portammo in scena nel teatro della Chiesa di San Francesco).

Verso la dogana
Lampare a mare


 

 

 

 

 

 

 

 

Non avevo alcuna esperienza quando concretizzai l’idea, covata da qualche tempo, di salire sulla “Freccia del Sud” per trasferirmi al Nord con una sofferenza che mi spingeva a scendere alla prima stazione e tornare indietro, con gli occhi affogati nelle lacrime. Resistetti: non potevo fare marcia indietro con il carico della sconfitta. Ma coglievo ogni occasione per rimpatriare e di gettarmi nelle braccia della mia amata città. Partii senza salutare nessuno, senza guardarmi alle spalle. E me ne sono pento. Gli amici sono un’ancora, un balsamo, una forza. Il pensiero di Diego Fedele mi seguiva, mi esortava a cercarlo, ma c’era sempre una novità che mi faceva svanire il proposito. L’amico Peppino Montanaro di Martina Franca una sera nel laboratorio di un altro amico, Peppino Cito, mi volle fare un dono: un calendario con una decina di poesie di Diego. Mi commossi. Quelle poesie mi restituivano parte del mio passato, me lo facevano rinverdire. 

Mar Piccolo
Vi ritrovavo l’ironia di Diego, sempre sorridente e pronto alla battuta di spirito; la mia Taranto, la città vecchia, il profumo, la magia di Mar Piccolo, il gusto del dialetto. Poesie ricche di atmosfera, che trasmettono gioia. Erano poche, ma le ho lette tante volte da averle imparate a memoria. Mi rivedevo la figura di Diego, il suo sorriso benevolo, me lo immaginavo un tantino invecchiato, ma sempre comunicativo, benevolo, comprensivo. Mi promettevo di fare un salto in via Messapia, ma il mio mestiere accorciava sempre le mie vacanze: il giornale mi chiamava per spedirmi oggi a Matera, domani altrove. Gli amici non si dovrebbero mai perdere: sono preziosi, mi ripeteva mia nonna, donna saggia che balugina con le dita in movimento ritmico con i ferri infilati nei suoi lavori a maglia. Le pagine del calendario estrapolate dal contesto me le portai nella mia casa di montagna e le sfoglio stando su una sdraio a ripercorrere sotto un gelsomino punteggiato di stelle bianche per godermi i versi di “’U rafanìedde”, sonetto divertente, con doppi sensi senza alcuna volgarità; e di “’U carrettìere”, che si forniva di angurie e verdura a “le Caggiùne” e le portava al mercato, tenendo in mano la frusta.

foto di Diego Fedele
Diego era un poeta vero. Direi meglio: è, perché i poeti non muoiono mai. So di avere sbagliato con Diego, colpevole di non essermi più fatto vivo con lui. Ma una piccola scusante viene in mio soccorso: non l’ho dimenticato, ricordo le sue cortesie, il suo affetto, l’accoglienza che mi mostrava appena mi apriva la porta. Davo del lei alla mamma, ma non alla moglie. La mamma mi riteneva uno di famiglia, che la faceva ridere. Ricordo l’amore di Diego per la città vecchia, gli applausi che scrosciarono al termine di una sua canzone al Teatro Orfei, dove si sono esibiti nomi storici del palcoscenico: Eduardo, Paolo Carlini, Emma Gramatica, Ernesto Calindri, Elsa Merlini, Milva, Wanda Osiris, Alighiero Noschese... No, non l’ho dimenticato, Diego. Vado cercando come un mendicante qualcuno dei suoi libri, ma mi dicono che sono introvabili. Ho pregato un amico di farmi avere alcune pagine in fotocopia e delle fotografie del poeta, dell’amico che parlava un italiano elegante, non ricercato.

Altra copertina del libro di Fedele
Ma non ricordo di averlo mai sentito esprimersi in vernacolo, riservato alla pagina scritta, stando seduto ad un tavolo in una piccola stanza con affaccio sul cortile. Forse perché temeva che io non lo capissi. Eppure il suo dialetto era comprensibile, senza ricercatezze, archeologie, anche se amava ascoltare le voci degli abitanti di vicoli, “’nchiostre”, pusterle. Le sue canzoni erano gioiose, emanano arie di festa. Oggi, quando consulto il Gigante, qua e là m’imbatto nelle poesie di Diego, come in quelle di Marturano o di Tebano. E così, mentre tengo aperte quelle pagine, si stura la memoria e volo a Taranto, la mia città dell’anima. In me c’è tanta nostalgia: dei luoghi, delle persone. Potrei mai dimenticare la scogliera di fronte ai Salesiani, dove andavo a catturare i granchi? O le passeggiate che facevo con Diego Fede, magari solo per accompagnarlo alla salumeria sotto casa a fare la spesa? Un giorno mi chiese se avessi fame e senza aspettare la risposta ordinò un panino con il prosciutto. Ero timido e lo mangiai con imbarazzo. Carissima Taranto. Nobile città. Chi cancella il proprio nido è riprovevole. Anche gli uccelli tornano dove sono nati. L’istinto li guida. O forse non perdono la via.

Ponte di pietra
 

Gli uomini possono partire, andare lontano, superare il confine, ma un nastro sottile dovrebbe sempre tenerli legati alle sponde del fiume che hanno ascoltato i loro vagiti. Io, ripeto, non ho mai dimenticato la mia “Tàrde vècchie” né la nuova, dove sono nato e cresciuto. Non ho dimenticato Diego Fedele, la sua poesia, il suo amore per la città dei due mari, la sensibilità che lo spingeva sulla riva del Mar Piccolo che gli suggeriva l’spirazione. La passione è un sentimento che non tramonta, non si affievolisce: ha alimentato i versi di Diego, fa palpitare il mio cuore. Un giorno gli presentai Marcello Ruggieri, un amico che negli anni ha assimilato una cultura profonda (ha pubblicato anche dei libri); e quando il giorno successivo ci incontrammo mi espresse su Diego un giudizio lusinghiero. Taranto lo ha messo da parte? E’ capitato ad altri. In tanta gente i ricordi s’impallidiscono, si spengono addirittura.

Via Garibaldi
Le generazioni si succedono e le nuove spesso non hanno voglia di rispolverare il passato, di far rivivere i meritevoli che lo hanno popolato e glorificato. Bisogna stimolare le nuove leve che si occupano brillantemente di teatro, che leggono, palpitano per la città. Taranto è un incanto e vanno ricordati costantemente quelli che hanno celebrato la sua bellezza decantata in tutto il mondo. Occorre riportare idealmente in vita i nostri poeti. Diego Fedele è uno di questi. In un video l’ho sentito dire che “c’è uno spiraglio, che bisogna allargare coinvolgendo le scuole, gli enti”. Occorre portare i poeti nelle aule scolastiche, leggere le loro opere agli studenti. Non è soltanto il sentimento dell’amicizia che mi spinge a perorare questa causa. Diego Fedele ha scritto pagine toccanti, che a suo tempo vennero anche pubblicate sui giornali e in libri editi dall’assessore alla Pubblica Istruzione. Rivette premi, gli furono dedicate delle serate, concesse interviste. E adesso? Bisogna tenerne viva la memoria dei poeti, non lasciarli immersi nel silenzio.



2 commenti:

  1. Grazie infinite per questo bel ricordo

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  2. Diego Fedele è stato un grande poeta ma come tale ingenuo e generoso come un fanciullo.

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