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martedì 30 marzo 2021

Per i balordi era l’ispettore Callaghan

MA IL VICEQUESTORE FILIPPO NINNI

NON HA MAI AVUTO LA 44 MAGNUM

Filippo Ninni in un'operazione
 

Durante la sua carriera si è occupato di migliaia di casi e ha mandato al “gabbio”, cioè in carcere, altrettante pellacce.

Si è occupato anche di omicidi, compreso quello di Mary D’Amelio, e ha risolto quello di Gucci.

 

 

 

 

 

LA REDAZIONE

 

Franco Presicci

Quando lo vedevano arrivare i balordi mormoravano: “Ecco l’ispettore Callaghan”. Qualche altro aggiungeva: “Il caso Scorpio è tuo”, titolo di uno dei film della saga di grande successo interpretata da Clint Eastwood.

Operazione guidata da Ninni

Ma il vicequestore Filippo Ninni, al quale l’etichetta era stata affibbiata, la 44 magnum in possesso invece del poliziotto di San Francisco nelle sequenze cinematografiche, non l’ha mai avuta. E neppure il cipiglio. E non si curava degli epiteti scodellati dalle “mezze maniche”, che si vedevano sempre sorvegliate e quindi disturbate nella gestione dei propri affari da quel segugio che dirigeva il commissariato Cenisio. Questa fauna allignava in un gruppo di case dissestate della periferia. Un angolo ben delimitato, dove circolava l’eroina, come del resto in altre zone di Milano: in via Emilio Bianchi, definito il fortino fino a quando non venne smantellato; in via Odazio, dalle parti del Giambellino, cantato da Gaber nella ballata del Cerutti Gino; al Parco Lambro…. Filippo Ninni era sempre impegnato, vigile, ostinato. Insomma, quando avvertiva puzza di bruciato, usciva coni suoi collaboratori e andava dritto dove lo portava il suo fiuto. Se il naso lo aveva ingannato, chi doveva sapere sapeva che il guardiano del faro stava sempre all’erta. Se cercava qualcuno, non gli dava tregua, passava ore e ore in giro per rintracciarlo; e, se ci riusciva, pazienza, “se non oggi domani lo prenderò”. Le operazioni che conduceva con i suoi collaboratori erano spesso ben studiate. Una mattina io stavo attraversando una via della Comasina, diretto ad un appuntamento con un “trombettiere” (un amico che ogni tanto mi riforniva il… miglio), quando dall’androne di uno stabile mi sentii chiamare sottovoce: era un poliziotto con cui avevo ottimi rapporti che mi pregò di scomparire perché erano appostati in più parti in attesa di un “movimento” fra spacciatori di droga, che se mi avessero visto, conoscendo le mie frequentazioni con il posto di polizia, avrebbero potuto mangiare la foglia. Divenni un fantasma. E un paio di giorni dopo ci venne data la notizia dell’arresto di quattro o cinque “puscher” (mercanti di droga) scoperti in possesso di un bel po’ di sostanza stupefacente. I cronisti, che sapevano dove andare a cacciare, oltre che in questura e negli altri avamposti della polizia, come venivano chiamati i commissariati, tempestavano di telefonate il vicequestore Ninni; e lui non si negava mai, anche se stava predisponendo un piano.

Il vicequestore Ninni

Era gentile, oltre che preparato, intelligente, zelante; ma se una notizia non la poteva dare per tutelare le indagini, se la teneva segreta come il tesoro dell’abate Faria ne “Il conte di Montecristo” di Alexandre Dumas. Ho vivo il ricordo di un “blitz” in una fetta della città, dove poi le case abitate da chi trafficava, imboscando la droga nei buchi delle pareti scrostate delle cantine, vennero demolite. Quella operazione venne realizzata con la partecipazione di decine e decine di poliziotti e l’impiego dell’elicottero, con il compito anche d’individuare dall’alto chi scappava per sfuggire alle camionette e alle auto delle volanti. Ninni le conosceva bene le pellacce che si annidavano nella zona: nomi, cognomi, soprannomi, i giri in cui erano coinvolti, i legami, le gerarchie. Il capintesta non si faceva mai vedere, ma Ninni sapeva il suo domicilio e le sue abitudini.

Mar Piccolo

 

 

Poi fu nominato capo della Squadra Mobile e dette filo da torcere alla malavita con più spessore. Nell’aprile del ’93 eseguì un grosso “blitz” contro un ben organizzato clan che – secondo l’accusa - faceva affari miliardari con la vendita di armi e il traffico di hascisc, gestito in quasi tutto il Paese da elementi acquartierati al Nord e al Sud. Il clan, che riuniva soggetti imparentati fra loro, “proteggeva” anche gli spacciatori del famoso fortino, che fu oggetto di una grande inchiesta giornalistica prima di essere espugnato. Le indagini erano state condotte per un anno dal vicequestore Filippo Ninni e dal capo della sezione antidroga. Il magistrato, anche sulla base di migliaia di ore d’intercettazioni telefoniche, spiccò 41 ordini di custodia cautelare e l’irruzione scattò all’alba con l’intervento di 600 uomini, tra funzionari, sottufficiali e agenti della questura. Un’altra operazione condotta da Ninni fu quella denominata “I fiori di San Vito”, con oltre 300 persone in manette. Se Ninni facesse il conto dei malavitosi che ha impacchettato, riempirebbe un libro. La sua memoria è inossidabile, un serbatoio inesauribile di fatti e di nomi indagati anche quando andò a dirigere la Criminalpol, dove s’incrementò i suo zelo e la passione per il mestiere, mandando al “gabbio”, il carcere nel gergo della malavita, migliaia di naviganti nel codice penale, contribuendo così notevolmente ad infoltire l’affollamento di piazza Filangieri, dove ha sede San Vittore. Adesso che è in pensione, non ama ricordare quei giorni. Se lo tenti, parla d’altro. Di Taranto, per esempio, dove è nato. Anzi, la sua culla è stata Talsano, ma poi questo agglomerato si è legato alla Bimare e quegli abitanti sono tarantini con orgoglio.

I colleghi Ninni e Jacovelli
Lo dice anche lui, che tra l’altro ama il dialetto locale, quello che gli è rimasto nel cuore dopo tanti anni a Milano, una città che ha sempre dovuto combattere con i banditi, boss, gregari, rapitori, spacciatori, omicidi, rapinatori, spaccatori di vetrine, colletti bianchi, camorra, ‘ndrangheta, mafia (Luciano Liggio venne arrestato a Milano nel ’71 in via Ripamonti dal colonnello Visicchio della Guardia di Finanza)… Mi dispiace il suo silenzio, perché ha tante cose da dire. Per esempio è stato lui a suo tempo a risolvere il delitto Gucci, di cui si parlò in tutto il mondo; e lui indagò con altri sul caso della povera Mary D’Amelio, la bravissima studentessa diciassettenne uccisa la sera dell’8 novembre del 1987 in via Candiani, mentre andava a prendere il treno per far ritorno a casa. Episodio così doloroso, che Corrado Augias gli dedicò una puntata di “Telefono Giallo”, alla quale prese parte anche Miriam Mafai e telefonicamente Franca Rame, in polemica con la canzone “Un amore rubato”, che il conduttore aveva fatto cantare da Luca Barbarossa. Neppure su questo omicidio Ninni scuce una parola. Ma come passa il tempo della pensione? Ogni tanto prende il treno alla stazione Centrale o la macchina e corre a Taranto.

Ninni tra Plantone,l'attrice A.Maria Rizzoli e Presicci

 

 

Come Ulisse – gli disse un amico - che torna ad Itaca dopo anni di assenza e di peripezie. “Che cosa c’entra Ulisse? Io nella mia città torno spesso, rivisito amici e parenti, vie, piazze, fontane, paranze, mercati, il ponte girevole e quello di pietra a Porta Napoli… Vado a pesca nel borgo antico; e mentre reggo la lenza, aspettando che il pesce abbocchi ascolto i dialoghi dei pescatori che rammendano la rete o preparano le lampare. E’ un piacere sentire quei suoni e quelle cadenze, rari nella città nuova. Taranto per me è una riconquista, una riscoperta, allettanti le novità che mi si parano davanti agli occhi: strade nuove, palazzi nuovi, quartieri rinnovati… Taranto mi dà gioia, mi esalta”. Non lo interrompo e lui prosegue: “Così l’ultima volta, quando si poteva passeggiare sul lungomare o in viale Virgilio fino ai i Salesiani, o in via Garibaldi facendo a piedi la discesa Vasto respirando il profumo del Mar Grande e del Mar Piccolo. La malandra è un’altra storia. Un’altra vita”. Ma vale la pena di raccontare, sia pure per sommi capi, almeno qualche curiosità. E alla fine mi ha dato il contentino, parlandomi del balordo a cui aveva detto: “La prossima volta tocca a te”, avendo come risposta; “A me? Se lo sogna. Non mi prenderà mai”. “Va bene, quando accadrà ii offrirò il caffè”. E accadde. Allora il “giovanotto” ricordò al vicequestore la promessa del caffè e venne dirottato al bar vicino, da dove, dopo aver sorseggiato la bevanda, fu portato in ufficio anche per rispondere alle domande sui 50 chili di eroina che teneva nascoste. Visto che ce l’abbiamo fatta, comandante? Come lo chiamano, con rispetto, i poliziotti che su Facebook hanno creato un loro gruppo.



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